Milazzo, Totò Schillaci presenta la propria autobiografia ed inaugura lo Juventus Club Doc ‘Alessandro Del Piero’

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11Nella serata di ieri è stato inaugurato lo Juventus Club Doc ‘Alessandro Del Piero’ di Milazzo. Un’iniziativa importante, nata per mano di un gruppo di tifosi bianconeri, il cui battesimo è stato segnato da un ex calciatore che ha fatto la storia non solo della Juventus, bensì del calcio siciliano e di quello italiano in generale. Parliamo di Totò Schillaci il quale, per l’occasione, ha anche presentato la propria autobiografia, dal titolo ‘Il gol è tutto’. Attorno alle h:19,00, nella cornice dell’Atrio del Carmine di Milazzo, l’ex centravanti ha parlato a lungo al vasto pubblico presente, palesando una sincerità non comune in certi ambienti e colpendo tutti per la simpatia. A moderare l’incontro è stato Mario Basile, Referente delle comunicazioni del Club Doc milazzese. Sul palco anche Giuseppe Gitto, Presidente del Club, ed Enzo Messina, Vicepresidente. A completare l’organigramma sono Giancarlo Currò (tesoriere), Francesco Sottile (segretario) e i consiglieri Marco Amorosia, Nico Caragliano, Giuseppe Caragliano e Fabio Milici. A loro va un grosso in bocca al lupo per l’inizio dell’avventura.

Ma torniamo a Schillaci che, come sopra detto, ha intrattenuto i presenti parlando a lungo di quella che è stata la sua vita, non solo sportiva. Totò ha tenuto a puntualizzare quelli che sono i contenuti del proprio libro, scritto insieme ad Andrea Mercuri ed edito da Piemme: “Mi sento di definire il libro costruttivo ed intenso. Dentro c’è molto, parlo di tanto, di tutto, della mia vita privata e di quella sportiva. Tutto è nato un anno fa quando, insieme ad Andrea, abbiamo dato inizio ai lavori del caso. Il mio intento è, principalmente, quello di mandare un messaggio ai giovani, i quali devono capire che la professione del calciatore richiede umiltà, rispetto per gli altri e tanti sacrifici. Non a caso faccio riferimento alle difficoltà che ho riscontrato nella mia infanzia, trascorsa in un quartiere povero di Palermo. Il calcio mi ha salvato, mi ha distratto dalle cattive amicizie e da un futuro che avrebbe potuto essere molto brutto per me. Questo sport, evidentemente, era nel mio destino. Da piccolo vivevo in via della Sfera, 19: chiaro il riferimento sia al pallone che al numero di maglia da me indossato ad Italia ’90. Io sono sempre stato innamorato del goal, è stato la mia ossessione, l’ossessione che mi ha portato ad avere ambizioni importanti, tra cui quella, appunto, di giocare nella Juventus. Ecco, nel libro c’è questo e tanto altro, come l’amore e i tradimenti, insomma a tratti è anche forte. Voglio dire anche che la scuola è importante, non nel modo in cui la facevo io, ovviamente. Ho rimediato alle mie mancanze scolastiche viaggiando. Questo mi ha permesso di conoscere tante culture e non è cosa da poco. Invito i giovani a inseguire, comunque, i propri sogni, di qualunque tipo essi siano“.

Schillaci ha poi continuato, facendo riferimento ai suoi primi passi da calciatore: “Da piccolo giocavo con i miei amici sull’asfalto, scommettevamo sempre qualcosa ed io non pagavo mai, perché ero il più forte di tutti. Iniziai a giocare nell’Amat Palermo. E pensare che di questa società, oggi, sono io il proprietario. Già, la vita è proprio strana… Tornando alla mia carriera, il primo punto di svolta avvenne in coincidenza con la mia convocazione per la Rappresentativa Sicilia, il cui allenatore, De Luca, mi segnalò al Messina. Stavo per andare al Palermo ma l’affare saltò e mi trasferii in giallorosso. Inizialmente mi aggregai alla Primavera, presto entrai però in pianta stabile in prima squadra e vi rimasi per sette anni. Ricordo il periodo di Messina con grandissimo piacere, non posso che parlare bene di Scoglio e di Zeman. Il primo non mi faceva mai seguire gli schemi, gli interessava solo che entrassi in campo e facessi ciò che sapevo. Il secondo mi rimproverava di essere sempre ultimo nei test atletici, lo ritengo un grande allenatore, pur se con la sua filosofia di calcio. Massimino, poi, mi trattò come un figlio e quando mi cedette alla Juve pianse per il dispiacere. I 6 miliardi offerti, però, non potevano essere rifiutati. Prima dei bianconeri mi cercarono altre squadre, come il Napoli e l’Udinese, ma non mi cedettero“.

Totò ha quindi fatto riferimento al prosieguo della sua carriera, ivi compresa, ovviamente, l’importante parentesi alla Juventus: “Fui tra gli ultimi a sapere che andavo alla Juventus. Arrivato a Torino, la prima persona che incontrai fu Boniperti. E poi c’era anche l’Avvocato Agnelli, che ti impressionava alla sola vista. Mi telefonava alle 07,30 del mattino ed io, le prime volte, credevo fosse qualcuno che mi faceva degli scherzi. Ad ogni modo, quel che posso dire è che la maglia bianconera pesa molto, sei condizionato dalla paura di sbagliare, dalla smania di volere sempre dimostrare qualcosa in più rispetto agli altri. All’esordio sentii troppo l’emozione, poi Zoff mi disse di giocare con tranquillità, come fossi ancora a Messina, e la volta successiva segnai una doppietta. Il mio primo anno alla Juve fu molto positivo, vincemmo Coppa Uefa e Coppa Italia ed arrivammo terzi in campionato ,nonostante una rosa non certo formidabile. L’anno dopo le cose cambiarono, arrivò Maifredi e la situazione trascese. Io non resi bene, nonostante avessi Baggio al mio fianco. Non ero nemmeno sereno, per via della separazione che stavo affrontando con la mia prima moglie. La Juve lo capì e, dopo qualche tempo, mi cedette all’Inter. Mi sarebbe piaciuto rimanere in bianconero, visto che tifo per la Vecchia Signora sin da bambino, ma ormai i tempi erano maturi per andare via. Il Giappone? A trent’anni pensai al portafogli, mi offrirono un ricco contratto ed accettai. Fui uno dei primi italiani a giocare all’estero. Nel Jubilo Iwata trovai Vanenburg, poi ci avrebbe raggiunti anche Dunga. Feci molto bene e segnai tanti goal. Lì fui trattato benissimo, l’unico problema lo ebbi con le macchine, correvo un po’ troppo“.

Infine, Schillaci ha fatto, ovviamente, riferimento al Mondiale di Italia ’90 ed alla sua vita presente: “La convocazione al Mondiale di Italia ’90 fu davvero inaspettata. Vicini mi chiamò a furor di popolo ma io, pur sperandoci, non è che ci credessi granché. Quando Morini ci comunicò la notizia saltai di gioia. La mia speranza era quella di andare inizialmente in panchina e non in tribuna, in modo da giocarmi le mie chance. Alla prima partita il Ct mi fece subentrare ed ebbi la fortuna di sbloccarla, contro l’Austria. Fu l’inizio di un’avventura stupenda, che mi portò a vincere il titolo di capocannoniere. Dispiace solo per non aver conquistato il Mondiale, avevamo una squadra davvero incredibile. Perché, oggi, sono fuori dal mondo dal calcio? Il calcio mi ha dato tantissimo ma anche io, a mia volta, ho dato molto al calcio. Quella del calciatore è sì una vita da privilegiati ma comporta anche sacrifici, molto sacrifici. Molti pensano che un calciatore viaggi molto, giri il mondo e via dicendo. Ma non è proprio così, visto che al massimo vedi aeroporti, stadi ed hotel. Ecco, continuare a rimanere nel calcio avrebbe significato non interrompere questo tipo di vita. A me non andava, ho scelto di fare altro, ho avviato le mie attività e nel frattempo mi godo la vita. Va bene, benissimo così“.

Questo è Toto Schillaci, uomo alla mano e con un sorriso per tutti. Al punto da avere avuto la pazienza, a fine presentazione, di fare una foto con chiunque lo desiderasse. Un gesto, questo, non dovuto e neppure tanto comune. Concluse le foto, Schillaci si è recato presso la sede del Club Doc per il taglio del nastro. Anche qui, accolto con grande entusiasmo, l’eroe delle notti magiche di Italia ’90 è stato molto disponibile e cordiale con tutti. Applausi per lui e per chi ha organizzato questa bella serata.

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