Il filosofo francese Jean Paul Sartre era del parere che se esiste l’inferno, sono gli altri. Ma molto prima di Sartre un adagio latino diceva: homo homini lupus (l’uomo è lupo per l’altro uomo). In questa ottica, si muoveva anche il filosofo inglese Thomas Hobbes ancor ben prima di Sartre. Da queste espressioni si deduce che nell’uomo è sempre esistito l’istinto di vedere l’altro come un eventuale avversario o concorrente che potrebbe ostacolare la sua realizzazione. Una domanda nasce spontanea: ma chi è l’altro e, lo è nei confronti di chi? A pensarci bene, ci si rende conto che ciascuno di noi è l’altro nei confronti di chi gli sta di fronte. Di riflesso, se dovessimo canonizzare ed applicare con rigore i detti, di cui sopra, tutti, nessuno escluso, siamo da considerare degli inferni e dei lupi. Che tristezza pensare la vita in questo senso, piena di mediocrità disumanizzante e pessimismo che verte nella sfiducia totale nell’altro. Come vincere questa paura dell’altro? Un altro detto latino, attribuito a Terenzio, risuona in modo seguente: homo sum: humani nihil a me alienatum puto (sono un essere umano: non ritengo estraneo a me nulla di ciò che è umano)…
È umano amare invece di odiare,
è umano conoscersi,
è umano fidarsi dell’altro,
è umano abbracciarsi,
è umano guardarsi negli occhi e sorridere,
è umano aiutare chi è vulnerabile assicurandogli una vita dignitosa,
è umano promuovere l’altro la cui dignità è calpestata dai dittatori, dalle guerre e dalla fame,
è umano perdonarsi a vicenda e ricominciare,
è umano fare delle leggi giuste e rispettarle.
Insomma, è umano incontrarsi e vivere armoniosamente insieme, nonostante le eventuali conflittualità che si possono e che si devono superare. Tutto questo ci deve interessare per vivere altamente la nostra vocazione umana: quella di stare insieme perché la cultura della vita trionfi su quella della morte. Parafrasando Maria Zambrano, diciamo che la morte peggiore che fa più male, non è solo quella fisica ma, si ha quando non siamo amati e capiti da nessuno, quando ingiustamente siamo ritenuti di troppo ed ingombranti, per non dire fastidiosi. Le espressioni micidiali e ricorrenti, purtroppo, sono: che vengono a fare qui? Ci ruberanno il lavoro, ci marciano, sono dei delinquenti, che tornino a casa loro, sono un problema alla nostra economia e sicurezza. In poche parole sono dei lupi e degli inferni per noi. Grazie al cielo non tutti la pensano in questo modo. Ci sono donne ed uomini che si dedicano con amore e dedizione agli altri creando delle passerelle e diventando dei “traghettatori” che aiutano l’altro ad approdare all’altra sponda ed a sbocciare nella vita. Occorre incontrarsi per conoscersi promuovendosi reciprocamente. Secondo il Teologo congolese Oscar Bimwenyi Kweshi, in ogni incontro c’è sempre una certa paura giustificabile per i motivi seguenti: l’altro inizialmente non puoi sapere se è un amico o un nemico, non puoi dunque sapere le sue vere intenzioni: è un ladro? È una spia? È un delinquente… ma solo dopo una certa esperienza o incontro, che non esclude la prudenza e la cautela, si può realmente capire il mistero che l’altro è e di cui è portatore. Ecco perché l’altro, si dice che, può essere una opportunità, una chance ma, nello stesso tempo, l’altro può essere un problema, un pericolo per la nostra sicurezza. L’altro è sacro, se si presenta come portatore di pace e non di guerra o terrorismo. Solo che, per capire tutto ciò, l’incontro è indispensabile. Altrimenti, si vive solo di pregiudizi e idee preconcette che ci costringono a mettere delle etichette gli uni sugli altri in maniera abusivamente generalizzata. Fatto sta che, se vincesse la logica della paura dell’altro, e visto che tutti siamo l’altro di fronte a chi riteniamo l’altro, la teoria dell’etichettamento e dei pregiudizi sarà applicata a tutti, nessuno escluso. Di conseguenza, saremo tutti vittime delle nostre stesse teorie basate sulla paura anziché sulla promozione delle relazioni fruttuose. Chi ha orecchi per intendere, intenda! Non è mai tardi vivere da fratelli.
Sac. Alain Mutela Kongo (Parroco di Armo e Dottorando in Teologia Dogmatica alla Pontificia Università Gregoriana).