Il vulcano Marsili: FOCUS sul “gigante” sommerso nel basso Tirreno tra Calabria e Sicilia dopo il forte terremoto di ieri sera

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Terremoto, ieri sera forte scossa tra Calabria e Sicilia: magnitudo 5.7, epicentro nel vulcano Marsili. Ecco  tutto quello che c’è da sapere sul “gigante” sommerso nel basso Tirreno

Fa paura il vulcano Marsili, il “gigante” sommerso nel basso Tirreno: di ieri sera una forte scossa di terremoto, magnitudo 5.7 si è verificata a poche decine di chilometri di distanza dal vulcano. A dispetto dei più famosi Etna, Stromboli e Vesuvio, il “gigante” sommerso è l’edificio vulcanico sottomarino più grande del vecchio continente. A differenza di quanto si possa pensare il fondo marino del bacino tirrenico non è tutto piatto o pianeggiante, ma in realtà, a causa della forte instabilità tettonica, è percorso da una serie di catene montuose sottomarine che fanno del Tirreno uno dei bacini più giovani (almeno sotto il profilo geologico) del Mediterraneo. Basti pensare che nel piano abissale del mar Tirreno, a circa 3000-3500 metri di profondità, sono presenti ben tre imponenti vulcani; il Magnaghi, il Valivov ed appunto il Marsili, che risulta il più grande di tutti. Mentre il Magnaghi è un vulcano ormai spento da milioni di anni, il Valivov come il Marsili sono tuttora attivi e quindi pronti a scatenarsi in nuove fasi eruttive di materiali magmatici ed esplosioni. Riguardo il Marsili, secondo degli studi recenti, si sarebbe attivato negli ultimi due milioni di anni ed è caratterizzato da una crosta di tipo oceanico, molto pesante, formata essenzialmente da silicati di ferro e magnesio e spessa poco meno di 10 chilometri.

Il grande cratere del vulcano è localizzato in mare aperto, nel Tirreno sud-orientale, a circa 65-70 chilometri a nord dell’arcipelago eoliano, non lontano dalle coste della Calabria tirrenica. Le lave del Marsili sono essenzialmente di composizione basaltica, quindi relativamente povere in silice, simili per composizione a quelle rilevate nell’arco eoliano la cui attività vulcanica è attribuita al processo di “subduzione“, in atto da milioni di anni sul bacino tirrenico, che vede la placca africana scorrere al di sotto di quella europea. Come detto si tratta di un vero e proprio colosso, probabilmente ad espansione si tratta della struttura vulcanica più voluminosa del continente visto che si estende per poco più di 70 chilometri per una larghezza complessiva di ben 30 km. Il complesso vulcanico si eleva per circa 3000 metri dal fondo marino, raggiungendo con la sommità la quota di circa 450 metri al di sotto del mar Tirreno. Lungo i suoi ripidi fianchi che si tuffano sugli abissi del Tirreno meridionale si ergono inquietanti crateri secondari dal quale fuoriescono enormi quantità di materiale magmatico che vanno ad accumularsi sui pendii del grande vulcano sottomarino, a seguito delle frequenti eruzioni. A volte l’eccessivo accumulo di questi materiali alle pendici del Marsili determina importanti eventi franosi, un po’ come avviene nella “Sciare del Fuoco” dello Stromboli, con conseguenti fenomeni sismici di debole entità, capaci di essere captati solo da una adeguata strumentazione nel campo microsismico. In passato lungo i fianchi dell’apparato vulcanico, durante violente eruzioni di tipo esplosivo, si sono generati giganteschi eventi franosi sottomarini in grado di alzare imponenti onde di “tsunami” che hanno flagellato tutte le coste tirreniche dell’Italia meridionale, dalla bassa Campania (golfo di Policastro) fino ai litorali della Basilicata, Calabria e nord Sicilia (specie il vibonese, la costa tirrenica reggina e messinese), con “Run-Up” (massima altezza) d’onda capaci di lambire gli “8-10 metri” nei punti ove la morfologia del fondale lo permetteva. Proprio per questo motivo rappresenta una delle principali e costanti fonti “tsunamigenetiche” dell’intero mar Tirreno.

Oggi il Marsili essendo un vulcano attivo, a tutti gli effetti, presenta una attività vulcanica molto intensa, segno che la struttura è tuttora in ottima forma. Negli ultimi anni, da parte dell’INGV e del CNR, sono stati condotti numerosi studi per valutare l‘effettivo stato del vulcano e i fenomeni ad esso correlati. I vari sismografi posizionati sulla sua cima, a circa 750 metri di profondità, hanno rilevato una intensa attività sismica locale tipica di un vulcano con eruzione frequenti. Ma quello che allarma di più gli esperti e la continua nascita di crateri secondari nelle pendici del vulcano che stanno ad indicare una netta intensificazione dell’attività sismica e vulcanica, in procinto di una nuove eruzioni. Nel febbraio 2010 la nave oceanografica Urania, del CNR, ha iniziato una campagna di studi sul vulcano sommerso, durante la ricerca scientifica sono state rilevate preoccupanti frane che testimoniano una notevole instabilità. Le frane preoccupano molto gli scienziati perché in caso di una forte eruzione sugli abissi del Tirreno meridionale si innescherebbero dei colossali smottamenti sottomarini, con un potenziale tale da originare delle onde di Maremoto in estensione a tutte le coste tirreniche, come già avvenne più volte in passato (solo alle Eolie negli ultimi secoli si contarono decine di piccoli maremoti per grosse frane sottomarine). In caso di una eventuale forte eruzione sottomarina l’onda di Tsunami sprigionata, viaggiando ad una velocità non inferiore ai 500 km/h, potrebbe andare ad abbattersi con grande impeto sulle isole Eolie nel giro di 10-15 minuti (anche meno nell’isola di Stromboli) per poi propagarsi velocemente sino ai litorali di Calabria, nord Sicilia e Campania meridionale nel giro di 20-30 minuti, causando ingenti danni e devastazioni lungo i comuni costieri affacciati al basso Tirreno.

Il sismologo, Enzo Boschi qualche anno fa aveva dichiarato che «Il cedimento delle pareti muoverebbe milioni di metri cubi di materiale, che sarebbe capace di generare un’onda di grande potenza che investirebbe le coste della Campania, della Calabria e della Sicilia provocando disastri. Gli indizi raccolti ora sono precisi ma non si possono fare previsioni. Il rischio è reale e di difficile valutazione per la mancanza di una capillare rete di sismometri in grado di avvisare se un’eruzione è imminente, almeno con un certo margine di preavviso come avviene per l’Etna.» Insomma il rischio è abbastanza concreto. Purtroppo nessuno potrà prevedere per tempo quando è in che misura il Marsili darà sfogo a una forte eruzione e se quest’ultima sarà in grado di dare vita a uno “tsunami” energetico, pronto a devastare le coste esposte del basso Tirreno. Sicuramente un miglior monitoraggio e l’attivazione di una rete capillare lungo i fianchi del grosso vulcano sottomarino potrà aiutare i vulcanologi a conoscere meglio i segreti di questo gigante immerso sotto le acque del Tirreno. Stando alle statistiche comunque è davvero difficile, per non dire impossibile, riuscire a prevedere una forte eruzione, di tipo esplosivo, del Marsili. In tal caso bisognerà prendere piena coscienza del rischio adottando efficaci piani di prevenzioni in caso di un imminente calamità che potrebbe riservare degli scenari poco piacevoli al nostro territorio.

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