Chi è il super boss Domenico Condello detto “U pacciu”: la primula rossa della ‘ndrangheta calabrese [FOTO e DETTAGLI]

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Reggio Calabria, ‘Ndrangheta: lo storico arresto del super boss Domenico Condello e l’operazione “Sansone” messa a segno oggi dai Carabinieri

Foto Lapresse / Adriana Sapone

La maxi operazione “Sansone” messa a segno oggi dai Carabinieri di Reggio Calabria ha portato a 26 arresti ricostruendo la fitta rete dei presunti affiliati al clan Condello che per lunghi anni coprirono la latitanza del Super Boss “U Pacciu”, Domenico Condello, primula rossa della ‘ndrangheta calabrese.

L’arresto del super boss Domenico Condello 4 anni fa a Catona

Erano da poco passate le 20 di mercoledì 10 ottobre 2012 sera, quando i segugi del Ros dei carabinieri che da quattro lunghi anni gli davano la caccia, hanno visto Domenico Condello, uscire dal suo covo, nella via Sabauda di Catona e salire su un autovettura condotta dal suo vivandiere ed autista. I carabinieri, che presidiavano quella zona dall’inverno precedente, avevano capito che finalmente questa volta, dopo tanti sacrifici, sarebbero arrivati alla primula rossa, che nel gennaio del 2011 gli era sfuggita per una manciata di secondi, a poche centinaia di metri da dove poi l’hanno catturato in quella serata di quattro anni fa. Gli uomini del Ros, ben mimetizzati l’hanno seguito per circa mezz’ora, poi è scattata l’operazione a trecento metri dal covo del boss, proprio sotto il ponte dell’autostrada A/3. Vistosi circondato, Domenico Condello ha tentato di lanciare fuori del finestrino le chiavi del suo covo, ma i segugi del Ros le hanno trovate e dentro al rifugio hanno poi trovato del materiale ritenuto importante ai fini investigativi. Invecchiato, rispetto alle foto segnaletiche, il boss Domenico Condello, meglio conosciuto come “Micu u paccio” dimostrava almeno 15 anni in più della sua vera età. Il suo covo, da almeno un’anno e passa, era in un modesto appartamento di due piani, in via Sabauda nel rione periferico di Catona. In pratica nel suo regno. Con lui è stato arrestato anche il suo vivandiere ed autista. Un barbiere del rione Gallico, che era anche l’affittuario dell’appartamento dove il ricercato si nascondeva. Portato in caserma, Domenico Condello ha ammesso le sue generalità senza problemi, complimentandosi con gli uomini della Benemerita. I segugi del Ros intanto, erano entrati nel suo “covo” dove tra l’altro è stata trovata una pistola calibro 7,65 con la matricola abrasa e un centinaio di proiettili per la stessa arma. Nel gabinetto dell’abitazione è stato rinvenuto un pizzino, ed un altro nella camera da pranzo. E poi tanto materiale, agende, appunti ed altro ancora. Viveva li da almeno un’anno e mezzo. Uno straniero che viveva nell’appartamento accanto al boss, ritrovatosi suo malgrado con i carabinieri dentro casa, ha raccontato tutto sulla latitanza del boss che ovviamente non conosceva. “Poco tempo fa ha partecipato anche ad un matrimonio. Usciva sempre con suo fratello, che so faceva il barbiere”, disse il vicino straniero ai Carabinieri. In pratica il boss Domenico Condello, stava sotto falso nome e si spacciava di essere il fratello del suo fiancheggiatore.
Durante i rilievi dei Carabinieri in quella notte di 4 anni fa, sul posto è arrivato anche il proprietario dell’immobile, un signore distinto, con pantaloni beige e camicia rosa, che ha chiesto spiegazioni agli uomini dell’Arma su quanto accaduto. Alla risposta dei carabinieri che dentro quella casa ci stava un latitante, anzi la primula rossa della ndrangheta calabrese, l’uomo ha subito esclamato: “Io la casa l’ho affittata ad un certo Megale, che fa il barbiere. Ed il contratto è regolarmente registrato in questura”. I conti per gli uomini dell’arma tornano, perchè Domenico Condello è stato fermato proprio con il suo “barbiere di fiducia”. Che però quella volta non gli è potuto servire più di tanto. Trasferito alla sede del Ros presso la scuola allievi carabinieri di Reggio Calabria, il latitante fu interrogato tutta la notte, poi alle prime luci dell’alba del giorno successivo trasferimento al comando provinciale reggino, per le foto segnaletica e la notifica di diverse ordinanze di custodia cautelare a suo carico, prima di essere recluso al carcere di massima sicurezza di Messina Gazzi.

Chi è il boss “Domenico Condello”, detto “U pacciu”

Domenico Condello detto “U pacciu” è nato a Reggio Calabria il 4 novembre del 1956, dal 2008 regge le sorti della consorteria mafiosa dei Condello, dopo l’arresto del cugina Pasquale detto il supremo, avvenuto nel 2008. Domenico Condello, ricercato dal 1991, e cognato di Antonio Imerti dell’omonima famiglia. Fu lui ad uccidere nella seconda guerra di ‘Ndrangheta il boss Paolo De Stefano, reo di aver qualche giorno primo attentato alla vita proprio di Antonino Imerti, con un auto bomba a Villa San Giovanni. Era l’ottobre del 1985. Imerti in quell’occasione si salvo, ma persero la vita tre persone. Pochi giorni dopo Domenico Condello, compie la sua missione di morte. E’ il 12 ottobre del 1985, quando in via Mercatello di Archi nel suo regno il capo indiscusso fino a quel momento della ndrangheta reggina viene trucidato insieme al suo guardaspalle. Domenico Condello per questo omicidio fu processato e condannato all’ergastolo. Quest’omicidio apri di fatto la seconda cruenta guerra di mafia a Reggio Calabria che in meno di sei anni fece quasi mille morti ammazzati. Ci volle Riina nel 1991, che travestito da prete, passo lo stretto ed impose la pax mafiosa. Per questo favore, le cosche calabresi della ndrangheta, uccisero nell’agosto del 1991 il sostituto procuratore della cassazione Antonino Scopelliti che da li a qualche mese avrebbe dovuto sostenere la pubblica accusa proprio in cassazione del maxi processo di Palermo contro Cosa Nostra. Secondo il pentito Giacomo Ubaldo Lauro, uno dei primi pentiti storici della ndrangheta era un grado al di sotto di suo cugino Pasquale e allo stesso livello dei suoi fratelli Paolo Pasquale e Vincenzo, tutti in carcere ormai da diverso tempo. Domenico Condello è stato condannato ad un altro ergastolo al processo Olimpia per associazione mafiosa, traffico di droga, estorsione e omicidio. La sua latitanza che durava appunto da 22 anni, è terminata il 10 ottobre 2012 sotto un ponte dell’autostrada A/3 nella frazione di Catona di Reggio Calabria.

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