I partecipanti hanno quindi parlato attraverso due lavori: il cortometraggio “Matilde” e lo spettacolo teatrale “Disarmati. Gente senza verità”, esiti artistici dei due laboratori a scelta di “Impronte e Ombre”: quello del video-making e delle arti sceniche, come modi per riflettere in maniera attiva su una tematica complessa quale la memoria delle vittime di ndrangheta. Il racconto teatrale di Paola, Elisa, Chiara, Pietro, Giosuè, Francesco e Domenico è polifonico. Non solo perché sono più attori in scena, ma perché ognuno dei loro personaggi è inevitabilmente sfaccettato. Sulla scena, il lavoro sulle vittime ha comportato necessariamente, per ogni attore, anche il lavoro sulla figura del carnefice, per non “rappresentare” semplicemente gli offesi, in maniera riportata, ma per scontrarsi realmente con la parte oscura dell’essere umano, rendendola “presente”. Il loro racconto è amaro, come il titolo: “Disarmati. Gente senza verità”. È netto e tagliente, ma non è una dichiarazione di sconfitta, bensì la prima denuncia, urlata da uno dei personaggi, di ciò che viene ucciso. È un racconto tragico e coraggioso, che se si apre con il sonoro fuori campo di parte della formula del giuramento di affiliazione è solo perché la simbologia e mitologia di cui le mafie si sono ammantate esiste da secoli, è tuttora un dato di fatto.
Non mancano momenti di quotidiano in quella che è una danza collettiva di esseri umani. Ma la quotidianità è immersa nella disperazione, per chi ha perso i propri cari, per chi non si ribella, per chi non è retto da una vera scelta che lo illumini. E la disperazione dei pavidi derisa. E contro la falsa mitologia di chi ha osato ammantare il male di simboli religiosi, i passi dell’Apocalisse chiudono questo spaccato, a togliere ogni altro alibi al comportamento di chi nutre le ombre, dei tanti che rendono ancora eroica la resistenza di pochi. Le parole finali servono a ripristinare la speranza dell’unica arma che permette all’anima di non soccombere: la verità. Giovanna, Emanuela, Gianluca, Jessica e Cristina, gli autori del cortometraggio, invece, hanno raccolto i dettagli che li hanno colpiti durante gli incontri con gli amici e familiari di vittime in una storia immaginaria, la cui linea narrativa si ispira alla storia di Filippo Cogliandro e di Tiberio Bentivoglio. Una vicenda tristemente “familiare” nella provincia di Reggio Calabria, quella della negazione della libertà di sviluppare la propria attività imprenditoriale, quella del soffocante controllo del territorio con continue richieste di pizzo, imposizioni,“regali” non dovuti, quella del bivio tra il quieto vivere, con il lavoro e la serenità dei propri cari, e la scelta coraggiosa di denunciare. La violenza dei giovani arruolati per mettere paura si scontra con l’innocenza dei giovani che nel cortometraggio ascoltano il racconto del protagonista e che si interrogano sul destino di quella persona e di una Calabria che ha voglia di ribellarsi pur nella consapevolezza che è ancora dura intraprendere il cammino per avere giustizia. La destinataria della consegna simbolica del messaggio che gli autori vogliono consegnare, e che dà il titolo al cortometraggio, è Matilde, figlia del protagonista – e anche dell’attore che lo interpreta, Enzo de Liguoro. Con lei, il messaggio della necessità della ribellione come unica scelta di vita, è dato a tutte le nuove generazioni.
Presenti tra il pubblico le persone che hanno accettato di condividere la loro memoria con i ragazzi e che sono diventati spettatori del “viaggio di ritorno” di “Impronte e Ombre”, come il cantante Salvatore Rugolo che ha dato voce alla bellissima canzone “Ma comu si faci” degli “Invece”, scritta da Peppe de Luca e dedicata a Totò Speranza. Le parole di Filippo Cogliandro e quelle di Tiberio Bentivoglio, cittadini di Reggio Calabria, hanno mostrato la stessa commozione ed emozione degli altri familiari come la famiglia Valarioti presente a Rosarno, assieme alle scuole, istituzioni, associazioni che hanno accompagnato tutte le tappe del viaggio di “Impronte e Ombre”.