Referendum, il Day After: gli errori di Renzi e la forza di Renzi. L’infinita protesta del Sud e l’ennesima occasione persa per l’Italia. Adesso, la grande paura

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Referendum Costituzionale, l’analisi dei dati e alcune riflessioni post-voto

Foto Fabio Cimaglia / LaPresse

La battaglia è finita, Renzi ha perso. Il Referendum Costituzionale ha visto una schiacciante vittoria dei “No”, con un’altissima affluenza alle urne (è andato a votare il 68,48% degli italiani, record da 23 anni per le tornate referendarie) e una percentuale nettissima. Hanno votato “No” il 59,11% dei votanti (19 milioni e mezzo di italiani), lasciando al “Sì” il 40,89% (13 milioni e mezzo di italiani). Sono cifre molto simili a quelle del Referendum Costituzionale del 2006: esattamente 10 anni fa gli italiani bocciavano la riforma voluta da Berlusconi che era molto simile a quella di Renzi, prevedeva la fine di quell’anomalia tutta italiana del bicameralismo perfetto, tagliava il numero di deputati e senatori abbattendo i costi della politica, forniva più poteri al premier consentendo ai Governi di poter realizzare davvero i programmi elettorali senza dover sottostare ai veti e ai ricatti delle minoranze. Gli italiani dissero “No”, allora come oggi: l’affluenza alle urne fu più bassa (andò a votare il 52,46% degli italiani), di cui il 61,29% scelse il “No” (quasi 16 milioni di italiani) a fronte del 38,71% dei “Sì” (dieci milioni di italiani).

L’analisi del voto: l’infinita protesta del Sud e le analogie con il Referendum Costituzionale di dieci anni fa

Tra i due Referendum Costituzionali, troviamo molte analogie: gli italiani all’estero sono quelli che hanno votato per il cambiamento, oggi come allora. Oggi addirittura con una maggioranza schiacciante: oltre un milione e 200 mila italiani residenti all’estero ha votato, con il 64,7% dei “Sì” e il 35,3% dei “No”. Dieci anni fa tra gli elettori all’estero il 52,1% aveva votato “Sì” e il 47,9% “No”. Evidentemente chi vive fuori dal nostro Paese comprende meglio le storture del nostro sistema e condivide le proposte di cambiamento, che altro non sono se non un adeguamento al resto del mondo, a Paesi più normali che funzionano meglio.

Ma anche all’interno dei nostri confini nazionali troviamo delle analogie nel voto tra oggi e dieci anni fa: al Nord la voglia di cambiamento è più forte, oggi come dieci anni fa. In Emilia Romagna ha vinto il “Sì” con il 50,3% così come in Toscana dove il “Sì” ha ottenuto il 52,5%, record per il Trentino Alto Adige dove il “Sì” ha conquistato il 53,9%; invece il “No” ha ottenuto il 55% in Lombardia e il 56% in Piemonte e in Valle d’Aosta, ben al di sotto rispetto al dato nazionale. Al Sud, invece, il “No” ha stravinto con il 72,2% in Sardegna, il 71,6% in Sicilia, il 68,5% in Campania, il 67% in Calabria e Puglia, il 65,9% in Basilicata.

La stessa cosa era accaduta dieci anni fa: il Sud disse “No” con l’82,5% in Calabria, il 76,9% in Basilicata, il 75,4% in Campania, il 73,4% in Puglia, il 72,3% in Sardegna (la Regione più coerente, con la stessa identica percentuale oggi come dieci anni fa!), il 71,7% in Molise e il 69,9% in Sicilia. E anche dieci anni fa la spinta al cambiamento arrivava dal Nord, con il 55,3% di “Sì” in Veneto, il 54,6% di “Sì” in Lombardia e un “No” che vinceva di un soffio in Friuli Venezia Giulia con il 50,8% e di poco in Piemonte con il 56,6%.

Dall’analisi del voto si può comprendere in modo evidente come c’è un’Italia, soprattutto al Centro/Sud, che non vuole cambiare e che esprime un voto di protesta. Una protesta infinita, quella del Mezzogiorno, che continua di decennio in decennio, contro ogni tipo di governo, confermando la caratteristica culturale tipica del meridione tendente al lamento e al piagnisteo. Proprio dal Sud, infatti, negli ultimi anni è cresciuto forte l’urlo anti-politico contro le spese della “casta”, considerate “esagerate”. Ma poi per due volte in dieci anni quando c’era l’occasione di tagliarle in modo significativo, si è preferito lasciare tutto così com’è.

L’ennesima occasione persa e la vera, grande, paura

L’Italia, quindi, ha perso una grande occasione, la seconda volta nel giro di dieci anni: non solo per tagliare i costi della politica (tutti dicono di volerlo fare, ma quando i Governi lo fanno, poi è il popolo a dire che non gli sta bene!), ma anche e soprattutto per la governabilità del Paese. Cosa ben più importante. Resteremo per chissà quanto tempo ancora con due Camere che hanno gli stessi poteri (unico Paese al mondo!), con un premier debole e sempre vittima di ricatti e veti posti da partitini che ottengono percentuali ridicole e rappresentano piccole minoranze del Paese ma si ritrovano a condizionare la stragrande maggioranza, impedendo a chi vince le elezioni di poter realizzare il proprio programma elettorale per cui la gente aveva votato. Ma soprattutto, adesso è il momento della grande paura.

La grande paura della nuova legge elettorale. Nell’esprimere le nostre posizioni e i nostri convincimenti durante la campagna elettorale, non abbiamo mai fatto il becero allarmismo di chi s’era inventato che “chissà che succede” se vince il “No”. Basta guardare oltreoceano: tutti preoccupati per la vittoria di Trump alle presidenziali americane, e adesso ci ritroviamo con un dollaro già molto più forte, banche più tranquille, borse in ripresa e petrolio in aumento. Esattamente l’opposto rispetto a ciò che i grandi esperti avevano prospettato. Anche qui, pur condividendo molte Ragioni del “Sì”, non si può pensare che da un momento all’altro l’Italia e la sua forza straordinaria crollino all’improvviso per un voto democratico, qualsiasi sia il responso delle Urne. Le borse stanno tenendo e non crolleranno. Non ci sarà nulla di catastrofico, da un punto di vista economico-finanziario. Il problema, invece, sarà tutto politico.

Pier Carlo Padoan – Foto LaPresse

Gli italiani hanno scelto di votare “No” e adesso si beccheranno un governo tecnico con ogni probabilità guidato dal tecnocrate Padoan, una sorta di Monti-bis. In molti non hanno capito che questa Riforma era contro i poteri forti. Quei poteri che adesso torneranno a sguazzare al comando del Paese. Dopo Letta, Monti e Renzi, avremo il quarto governo consecutivo non eletto dalla gente. Un governo, però, voluto dagli italiani che hanno scelto per il “No” e adesso si lamenteranno più di prima, perchè non hanno votato “per qualcosa” ma hanno votato soltanto “contro qualcosa“, senza pensare alle conseguenze. Non hanno usato il cervello, ma soltanto la pancia. Come se non ci fosse un domani. Ma il domani è oggi e il futuro non è certo roseo: il nuovo governo avrà il compito (difficile) di portare a termine la legislatura, quindi ha un orizzonte di appena un anno. A proposito, chi urla di tornare subito al voto dopo aver impostato una campagna referendaria sulla “difesa” della Costituzione, evidentemente ignora cosa prevede quella stessa Costituzione che adesso obbliga il Capo dello Stato a fare di tutto per cercare un’altra maggioranza possibile all’interno dell’attuale parlamento, evitando il ritorno al voto. Altra ipotesi, si potrebbero sciogliere le camere e indire elezioni anticipate nel 2017 ma per fare questo bisognerà comunque prima approvare una nuova legge elettorale. Ed è questa la più grande paura.

Tutti i partiti e i movimenti (compresi i 5 Stelle che evidentemente tanta voglia di governare non ne hanno, consci dei propri limiti) dichiarano la convinzione di voler tornare al sistema proporzionale. Sarebbe il dramma più grave per un Paese che subito dopo aver buttato alle ortiche l’ennesima occasione di rendere il proprio sistema politico più efficiente, veloce e governabile, tornerebbe nella melma della prima repubblica. Una melma di accordicchi, inciuci, veti e minoranze al potere. Una nuova legge elettorale proporzionale significherebbe annullare tutti i progressi della democrazia negli ultimi anni, eliminare il premio di maggioranza alla Camera e rendere il Paese sempre più ingovernabile. Un po’ tutti vogliono fare così perchè in questo momento abbiamo tre poli politici (la Destra, la Sinistra e il Movimento 5 Stelle) che si equivalgono, e con il proporzionale nessuno potrà vincere ma sarà anche più difficile perdere e poi bisognerà accordarsi (verosimilmente con qualche partitino di Centro, o di estrema Sinistra) per formare un governicchio fantoccio con un leader debole, non eletto dal popolo e che possa durare (nella migliore delle ipotesi) un anno e qualche mese, fino alla prima crisi. L’alternativa sarebbe un maggioritario anche al Senato con un premio di maggioranza anche al Senato su scala Nazionale com’è già alla Camera, senza quindi stravolgere l’attuale legge elettorale, dando al Paese un nuovo Governo quantomeno solido dopo le prossime elezioni. Ma nessuno ha il coraggio di farlo, sapendo che uno dei tre movimenti potrebbe vincere con il 32% e governare il Paese con una maggioranza in entrambe le Camere a fronte degli altri due poli che magari si fermeranno entrambi al 31%. Peccato che la democrazia funzionerebbe così, e funziona così in tutti i Paesi del mondo: chi vince, anche di un solo voto, governa. Ma in Italia no.

Foto Lapresse

Dopotutto è ciò che vogliono gli italiani. Così come gli italiani continuano a volere 320 Senatori stipendiati con 20 mila euro mensili più le spese, così come gli italiani continuano a volere gli attuali stipendi dei consiglieri Regionali, il Cnel, l’attuale apparato amministrativo e burocratico che prevede il rimpallo all’infinito delle leggi tra Camera e Senato. Sono gli italiani a volere un Paese fermo, instabile, con governi deboli che non riescono mai a realizzare obiettivi e programmi perchè devono piegarsi ai ricatti delle minoranze. Anziché guardare alle più grandi democrazie, continuiamo a fare passi indietro e per giunta ci lamentiamo pure. Senza renderci conto che siamo noi a volere tutto ciò.

Gli errori di Renzi e la forza di Renzi

Renzi ha perso, e quando uno perde qualcosa sbaglia. A prescindere da ogni altra considerazione. Renzi di errori ne ha fatti tanti in questi anni, sia amministrativi che soprattutto politici. L’errore principale è stato quello del principio. Renzi arrivava per “rottamare” la vecchia classe dirigente, come simbolo di un nuovo modo di fare politica. E poi ha preso il potere alla prima occasione utile datagli dai giochi del palazzo, senza passare dalle urne. Non è stato eletto dal popolo e forse s’è giocato anche la possibilità di esserlo in futuro. Eppure la sua popolarità era alle stelle: nel 2014 in caso di elezioni politiche, da solo avrebbe preso oltre il 40%. Ha preferito prendere il potere tradendo il compagno di partito Enrico Letta, ha stretto il Patto del Nazareno con Berlusconi sancendo così un accordo trasversale per le riforme utili al Paese, ma poi ha rotto anche questo patto tradendo il suo nuovo alleato in occasione dell’elezione del Presidente della Repubblica. E se il tradimento di Letta almeno era stato utile a conquistare il Governo, il tradimento di Berlusconi è difficile da capire perchè Mattarella stava bene anche al leader di Forza Italia. Sarebbe bastato coinvolgerlo nella scelta, e il Cavaliere mai avrebbe rotto il Nazareno e oggi si sarebbe speso per il “Sì”, continuando a sostenere il premier da cui invece ha poi inevitabilmente preso le distanze. Renzi va a casa dopo due anni, 9 mesi e 13 giorni di Governo. Il 4° governo più longevo della storia della nostra Repubblica, pensate quanto siamo messi male. Dovrebbero durare 5 anni ciascuno, invece in 70 anni abbiamo avuto 63 governi. In media quasi uno l’anno. E agli italiani sta bene così.

Foto Fabio Cimaglia / LaPresse

Ma torniamo a Renzi: elencati gli errori, rimane la sua forza. La forza della sua dignità, espressa con commozione nel discorso della notte, da grande Statista e da leader di spessore. Renzi si è dimesso, come era ampiamente prevedibile per chi lo conosce e l’ha capito, nonostante in tanti ritenessero che non l’avrebbe fatto. E ha chiamato alla responsabilità tutti coloro che hanno spinto il Paese a scelte suicide, perchè è giusto così: troppo facile criticare, più difficile fare. E adesso vediamo cosa sanno fare loro. La forza di Renzi è e rimane dentro se’ stesso: i suoi valori democratici e progressisti, la sua visione moderna e appassionata, orgogliosa dell’identità italiana e consapevole dei nostri difetti e problemi ma soprattutto della nostra grande forza e potenza. Con il grande successo dell’Expo di Milano, Renzi ha raccolto i frutti di un evento voluto e organizzato da Berlusconi. Adesso il successore di Renzi raccoglierà i frutto del G7 di Taormina, con l’Italia che ospiterà il vertice tra le principali potenze del Pianeta (di cui fa parte). Purtroppo il delirio a cinque stelle ha impedito all’Italia di avere un’altra grande occasione, quella delle Olimpiadi di Roma 2024. Ma questa è un’altra storia: da una parte c’è l’Italia della protesta, dall’altra c’è quella che pensa a superare i problemi con la cultura del fare. Ed è questa la forza di Renzi, che rimane nonostante la sconfitta. E’ l’unico leader politico serio su cui l’Italia oggi può contare: il suo compito difficilissimo sarà quello di arginare il pericolo populista di Salvini da un lato e di Grillo dall’altro.

Per farlo deve evitare di farsi coinvolgere nelle faide che adesso si apriranno all’interno del Partito Democratico, scrollarsi di dosso quella zavorra post-comunista che tanti problemi gli ha creato e ripartire dalla base di questo Referendum. Hanno votato per il “Sì” (quindi per Renzi) il 40,89% degli elettori, cioè 13 milioni e mezzo di italiani. Sono tantissimi, se si considera che quelli che hanno votato per il “No”, e cioè il 59,11% dei votanti (19 milioni e mezzo di italiani), si dividono tra Grillo, Salvini, Berlusconi, la Meloni, Mario Monti, D’Alema, Bersani, Vendola, Fassina, Civati e persino Gianfranco Fini. In una partita politica in cui forze così eterogenee non potranno certo allearsi, senza ombra di dubbio Renzi resta il leader oggi più apprezzato e popolare. Ma non deve ripetere gli errori commessi negli ultimi anni: formi una nuova coalizione alternativa ai populismi e all’ignoranza, un polo Nazionale che non sia una nuova Democrazia Cristiana perchè si dovrà caratterizzare per l’assoluta laicità, lo sviluppo economico ma anche sociale e civile, in piena sintonia con quelle che sono le linee guide della politica renziana ma anche di Forza Italia, con cui si potrebbe tentare un’alleanza perchè lontana anni luce dalle idiozie anti-Europa e anti-Euro di Salvini da una parte e Grillo dall’altra. Forse è l’unica alternativa valida ad evitare che vadano al Governo quelli delle matite cancellabili e dei terremoti dalla magnitudo taroccata…

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