Reggio Calabria: iniziativa dell’Associazione poeti dialettali calabresi organizzato dall’Istituto Comprensivo “De Amicis-Bolani”

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Il Natale ha assunto un significato territorialistico al di là della festa religiosa, è divenuto un’occasione per riflettere su valori, per esprimere sentimenti ed emozioni, per evocare immagini, suoni e voci. Il Natale delle voci arcaiche, come elemento atavico della riscoperta delle tradizioni, rivisitate con il taglio culturale del vernacolo. Così  agli alunni delle seconde medie della scuola “Spanò Bolani” di Reggio Calabria è stato presentato un ancestrale ritorno alle origini con l’Associazione dei poeti dialettali calabresi. Un excursus che ha attivato una rivisitazione del simbolismo e una riscoperta delle radici della calabresità, attraverso un cammino linguistico evolutivo. Nei locali del “Salone Monsignor Giovanni Ferro” della scuola “De Amicis” si è concretizzato  un momento didattico di riscoperta del territorio con un percorso socio-religioso-didattico, come ha sostenuto Giuseppe Romeo, dirigente dell’Istituto Comprensivo “De Amicis-Bolani” “un progetto con il quale offrire agli alunni elementi connotativi di una tipicità, per estrapolare da essa rivelazioni paesaggistiche, espressioni culturali ed  elementi popolari”. Il poeta Totò Mediati, ha aperto l’incontro, ponendo l’interrogativo “Undi nasci Signuri?” per denotare l’aspetto delle problematicità attuali: “nto scuru di friddi baracchi… ‘nta nu campu tingiùtu di russu…nte paisi brusciati dà guerra…’nta nu carciri, intra ‘o ‘spitali”. Poi i toni hanno assunto una descrizione tipicizzante con il poeta Francesco Reitano, ne “A notti i Natali” dove “ncè n’aria frizzantina…chi rendi l’atmosfera surreali” e con il poeta Cavallaro ne “L’alberello”.  Per assumere pause di riflessioni con Franco Blefari ne “Volia ‘i vi dicu a tutti ch’e Natali” dove “e cosi cchjù ‘mportanti…ca si passa cchjù tempu n’e trovamu…Natali, cista nova societati, ‘u senti sulamenti o’ ristoranti e ‘nta gli tavulati” e Mimmo Fabiano con “Quando è Natali” quando “s’accende chiglia luci, gliu fervori mu duna caluri a cu è gliavanti…Esti Natali si  nta tuttu u mundu sparisci a fami, l’odio , la guerra”. Variegato l’esame  della ricchezza del patrimonio linguistico e semantico “nel quale la comprensione e il rispetto per la propria cultura fanno da coronamento al dialetto” ha rimarcato la professoressa Francesca Neri “ non considerato forma subalterna , o corrotta della lingua italiana, o mezzo di comunicazione inferiore” ma strumento d’identità  e di rispetto verso la propria cultura, nonché “innesto sul tronco della pianta madre, che muore se viene a mancare  l’humus su cui è cresciuta nei secoli”. Così  Cavallaro con “Tanti poeti” e Bruno Versace con “A bulletta d’a luci” dove con toni briosi ha  posto l’accento sulla linguistica “i Precacori” nome antico del paese di Samo. Si passa alla zona della locride con Saverio Macrì ne “U primu jornu i scola” dove rimarca il senso del dovere scolastico  “cammina sempri ddrittu e non sbagghijari…e si ‘nta vita voi luntanu andari, nda’ sulamenti mi và bonu ‘a scola”. Lirica che ha colto i tempi di oggi alienanti  è “Vestuta ‘i jancu” dove si ravvisano alti toni d’ammonimento nei quali la droga appare “luci ti dici, ma si nira notti, promisa fai di paci, ma si guerra, offri la vita e poi duni la morti”. Coinvolti così gli alunni della scuola media “Spanò Bolani” con la ricerca della propria identità, come ha sottolineato l’insegnante Stefania Chirico “ la quale deve essere fortemente conservata in quanto rappresentativa di una propria territorialità ed emblema delle radici vitali di un popolo”.

Stefania Chirico Cardinali

 

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