Lo Stretto di Messina rappresenta una delle tre direttrici principali, unitamente a Gibilterra ed al Bosforo, su cui si muovono i grandi flussi degli uccelli migratori sull’asse Europa/Africa
Si presume che per molti di loro questo ultimo braccio di mare sia un ostacolo relativamente breve rispetto a quanto affrontato fino a quel momento, e che per loro sia preferibile superarlo anche in condizioni avverse, anziché rimanere “al di qua” di esso. A tale ipotesi si associa anche la fretta che caratterizza la migrazione primaverile ed eventuali frequenti perturbazioni, soprattutto se africane (venti di scirocco), ritardano il viaggio (vento in genere troppo forte per consentire l’attraversamento del Canale di Sicilia), ponendoli inevitabilmente – pur di arrivare presto – ad affrontare il maltempo, per molti di loro, purtroppo fatale. Questo fenomeno che investe le città di Reggio Calabria e Messina, coinvolge centinaia di migliaia di esemplari di vari rapaci di varie taglie e di varie specie di grandissimo interesse naturalistico oltre che fauna protetta particolarmente protetta dalla normativa nazionale e comunitaria ha sedimentato nei secoli l’interesse del mondo venatorio su tali “prede” facendo diventare tale attività cinegetica una vera e propria “tradizione” molto radicata nei costumi locali. Attività perfettamente legale sino alla fine degli anni ‘ 70 del trascorso secolo e che è diventata illegale con una crescente gradiente di punibilità, per quanto previsto dalla L.152/92 e conseguenti leggi regionali.
Durante tale pratica venatoria che, come visto, sul finire degli anni ’70 è diventata illegale, ogni anno venivano abbattuti migliaia di esemplari appartenenti a specie di enorme interesse naturalistico con un massiccio ed incontrollato impiego di armi da caccia non solo dalle postazioni “tipiche” in calcestruzzo di cui erano, ed in parte sono, costellate le coste calabrese e siciliana che si affacciano sullo Stretto, ma anche dai balconi e terrazze di edifici posti in pieno centro cittadino, creando, tra l’altro, non pochi problemi di sicurezza pubblica. Per contrastare tutto ciò, il Corpo forestale dello Stato dagli inizi degli anni ’80 ha pianificato ed organizzato servizi specifici di prevenzione e repressione al fenomeno del bracconaggio nel periodo primaverile, prima, e successivamente anche per il periodo autunnale. Tale attività ha previsto l’impiego di un contingente specifico, denominato “Reparto Adorno”, in riferimento al nome con cui localmente viene definito il Falco Pecchiaiolo, costituito da unità proveniente da tutto il territorio nazionale, che ha portato, nel tempo, ad una sostanziale eradicazione sul versante siciliano ed una drastica riduzione sul versante calabrese di tale fenomeno che, ad oggi, nell’agro reggino può essere considerato confinato a specifici ambiti territoriali ed a specifiche pratiche che vedono l’uso anche di armi da sparo contraffatte con matricola punzonata, provenienti per lo più da furti perpetrati ai danni dei cacciatori o frutto di furti in appartamento.
A conferma di ciò, si evidenzia come l’area dello Stretto di Messina sia stata inserita tra i sette black-spot, ovvero aree in cui il fenomeno del bracconaggio è particolarmente intenso, indicati del “Piano d’azione nazionale per il contrasto degli illeciti contro gli uccelli selvatici”, redatto dall’ISPRA – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale del Ministero dell’Ambiente e proposto da quest’ultimo, in attuazione alla “Strategia nazionale sulla Biodiversità”, ed oggetto di apposito accordo tra le Parti raggiunto nella seduta della Conferenza Stato – Regioni del 30 marzo 2017, e quindi meritevole di particolare attenzione dal punto di vista del contrasto al fenomeno di cui trattasi. Per l’anno in corso, il Comando Unità Tutela Forestale Ambientale e Agroalimentare (CUTFAA) dell’Arma dei Carabinieri, nel quale all’inizio dell’anno è confluito il Corpo forestale dello Stato, ha voluto dare nuovo impulso a tale importantissimo servizio di tutela della fauna selvatica, mettendo in atto un dispositivo di prevenzione e repressione tanto sul versante calabrese che, e questo accade per la prima volta, sul versante siciliano. In sinergia con il personale Reparti specializzati dei Carabinieri Forestali già presenti sul territorio interessato alla migrazione, infatti, stanno operando ulteriori 30 militari afferenti al NOA (Nucleo Operativo Antibracconaggio) del CUTFAA, coadiuvati, ove necessario, da personale dell’Arma territoriale. Le funzioni di coordinamento e comando sono affidate alla Centrale Operativa Regionale, al quale afferisce anche il numero 1515 di emergenza ambientale, al quale segnalare qualsiasi atto illegale in danno della fauna migratoria ed all’ambiente.
Per tutto il periodo della migrazione, stanno operando su entrambi i versanti dello Stretto numerose Associazioni ambientaliste, anche straniere, – Legambiente, LIPU, WWF Italia, CABS (Committee Against Bird Slaughter), MAN (Associazione Mediterranea per la Natura) in collaborazione con la NABU tedesca, Progetto Natura di Milano. I volontari svolgono attività sia scientifica di avvistamento e censimento degli animali in transito, che di monitoraggio e segnalazione ai Reparti operanti degli eventuali episodi di bracconaggio. Con tre di esse – Legambiente, LIPU e WWF Italia – il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, nelle settimane scorse, ha già sottoscritto specifici protocolli d’intesa finalizzati alla cultura della legalità ed alla tutela dell’ambiente da realizzare su tutto il territorio nazionale.