Messina, i Carabinieri svelano il “Ponte” tra le cosche “per unire Catania e Reggio Calabria”: ai criminali calabresi e siciliani non serve la grande opera per entrare in contatto
Dopo la maxi-operazione “Mandamento Jonico” che Martedì 4 Luglio ha portato a ben 116 arresti tra affiliati della ‘ndrangheta reggina, oggi 30 persone sono finite in manette a Messina per l’operazione “Beta”: le attività dei Carabinieri che operano sul territorio reggino e messinese si sono collegate e le retate di arresti sono tra loro collegate, al punto da evidenziare i legami tra la criminalità calabrese e quella siciliana. Gli investigatori hanno infatti spiegato che “stiamo assistendo a un pensato, ragionato itinerario criminale che tende a congiungere Catania a Reggio Calabria ed è evidente, come il richiamo di Cosa nostra, che come la ‘Ndrangheta ha temporaneamente poggiato la pistola sul comodino, incute tanto timore”. Il generale del Ros Giuseppe Governale ha spiegato come la mafia catanese faccia affari a Messina attraverso una cellula propria che con metodi nuovi, lontano dalle bande armate, si colloca nell’economia reale stringendo rapporti e legami in ogni settore della società con la “Messina che conta“.
Per il generale del Ros Governale “quella di oggi a Messina è un’operazione che ha un grande significato e si inserisce in un quadro di riferimento più ampio che vede uno sforzo più importante del Ros in Calabria ed in Sicilia, due realtà in cui registriamo evidenti interconnnessioni. Da questa indagine emerge un collegamento tra l’organizzazione di cosa nostra nella provincia di Messina con le cosche del mandamento jonico calabresi. Purtroppo la provincia di Messina si inscrive definitivamente nel campionato che conta del crimine. Per la prima volta e’ stata registrata la presenza di Cosa nostra nella città e nella provincia. Adesso si assiste ad un pensato, ragionato itinerario criminale che tende a congiungere Catania a Reggio Calabria“.
Due giorni fa a Reggio Calabria sempre Governale aveva definito la ‘ndrangheta della locride come “il cuore pulsante della ‘ndrangheta mondiale, dall’Australia al Canada; dalla provincia di Reggio al nord del Paese ed al cuore dell’Europa. La ndrangheta ha finora goduto di lunghi periodi di tranquillità che ne ha fatto la forza criminale più efficiente del Paese“.
Insomma, le ultime grandi inchieste dei Carabinieri ci forniscono un quadro molto chiaro di quanto la criminalità locale calabrese e siciliana sia interconnessa, tra le due sponde dello Stretto e anche molto oltre. Le cosche, quindi, non hanno bisogno del Ponte sullo Stretto per “unirsi”, per “avvicinarsi”. Eppure l’ultima assurdità dei “No Ponte” è ancora questa. “Non dobbiamo farlo perché unirà due cosche, avvicinerà mafia e ‘ndrangheta, finiremmo per fare un favore ai clan“. Ma i clan sono già uniti a prescindere dal Ponte. E a dirlo sono gli investigatori, i Carabinieri, che non sono certo schierati nel dibattito sulla grande infrastruttura dello Stretto. E’ un dato di fatto.
Cade, quindi, l’ennesima “scusa” dei “No Ponte”, che se si fossero impegnati così tanto contro le mafie, probabilmente avrebbero anche potuto ostacolare il “Ponte” di criminalità che sullo Stretto già c’è. Mentre la gente per bene deve continuare a patire i ritardi, il degrado e l’arretratezza di un territorio così depresso e sottosviluppato, ma che si permette il lusso di rinunciare alla grande chance di rilancio e sviluppo quale, appunto, sarebbe il Ponte sullo Stretto.
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