Attorno al braciere si sviluppavano tutte le conversazioni della famiglia, ognuno raccontava della propria giornata a scuola, a lavoro, in casa. Sedevamo tutti in cerchio con i piedi appoggiati alla conca. Mio zio prete sollevava la tonaca, per evitare di bruciarla, cosa che capitava spesso. Sulla sedia mozza, posta sulla conca a protezione del braciere, regnava gatta ciccia.
Attorno a quel braciere, grazie alla favella inestinguibile di mio zio prete, si sviluppavano sempre lunghe conversazioni. Sapeva di tutto, aveva una cultura impressionante. Conversava amabilmente con tutti. I miei fratelli, le mie sorelle, i miei cognati, i miei genitori, prendevano parte alla conversazione, con molta ammirazione per mio zio prete. Solo mio padre, nascondendo l’orgoglio nel cuore per il sapere del fratello, ogni tanto ci invitata a non credere a tutto quello che diceva. Il prete sorrideva e si faceva serio. Ascoltava anche gli altri ed accettava anche di essere contraddetto su tutto, ascoltando ed attribuendo valore anche alla opinione di persone semplici, come mio padre e mia madre, tranne che sui dogmi della fede, allora non transigeva.
Su quella conca si apprendevano molte cose dello scibile umano, ma si apprendeva soprattutto ad ascoltare ed a cogliere ogni perla che viene dalla parola dell’altro, chiunque egli sia, anche la persona più semplice del mondo.