Ma la mia maggiore angoscia non era quella. Era che non riuscivo a pronunciare bene né la esse, né la erre.
Tanto che mio fratello Pasquale, settimino e burlone, non perdeva occasione per ripetere sfotticchiandomi “Pakale obo e la mama”. Mi arrabbiavo e le cose peggioravano perché, allora, non riuscivo del tutto a pronunciare quelle due benedette consonanti.
Un giorno, parlando con il maestro Zaccaria, che si complimentava con me per lo svolgimento di un tema, gli dissi che si magari sapevo scrivere, ma non sapevo parlare. Era un santo uomo e l’ho già detto. Da quel giorno si armò di santa pazienza. Mi faceva leggere a voce alta brani sempre più complicati, per la gioia ed ilarità dei miei compagni di classe. Più ridevano a crepapelle, più il maestro mi intimava di andare avanti.
Invitando qualcuno di loro a pronunciare correttamente la parola da me storpiata, intimandomi di ripetere la pronuncia.
Quante cose sapeva fare e quanti problemi sapeva risolvere il maestro Zaccaria. Sapeva insegnare a leggere e scrivere, sapeva anche insegnare a pronunciare, ma soprattutto sapeva insegnare a vivere, anche nelle difficoltà.