Quel compito toccò a me, anche perché, dato il freddo invernale, il medico assolutamente mi aveva vietato di raggiungere gli amichetti per strada e giocare con loro all’aperto, e mio padre allora pensò bene di trovarmi qualcosa da fare.
Ogni pomeriggio finiti i compiti, mi trasferivo (si fa per dire, in quanto il soggiorno con annesso cucinino, non era altro che il retrobottega) in bottega e quando arrivava qualcuno chiamavo Marisa, che mia madre non era mai riuscita a stare proficuamente dietro il bancone.
A scuola avevo imparato in fretta a leggere. Se ne erano accorti zio prete e comare Tuzza (Caterina). Comare Tuzza faceva l’educatrice in oratorio e mia sorella Marisa l’aveva scelta come futura comare di Cresima. Insegnava alle scuole elementari di Palizzi Superiore. Ambedue avevano capito che leggevo ogni cosa, anche i bugiardini delle medicine, i manifesti, il giornale da Vincenzo. Per questo avevano cominciato a procurarmi libri per ragazzi: le avventure di Gian Burrasca, il libro Cuore, le tigri di Mompracem, il corsaro nero, ecc.
Per poter leggere, mentre stavo in bottega, decisi che avrei trovato un posticino tranquillo da dove poter osservare la stessa, ma al contempo rimanere alquanto isolato.
La mia sala lettura diventò lo spazio tra il tetto della bottega ed il sesto sacco di crusca impilato orizzontalmente. Ma era anche un posto dove era difficile trovarmi, se non avessi risposto. Così pensai di fare, quando tornato mio fratello Pasquale e non vedendomi si mise a chiamare. Non risposi. Cercarono per tutto il vicinato, si allarmarono. Pasquale disse di voler andare a cercare al torrente e mia madre invece gli ordinò di andare a cercare mio padre. Allora capii che le cose si mettevano male e saltai giù.
Non mai più visto mio fratello Pasquale arrabbiato come quel pomeriggio.