Ceccato 98 – Il pettirosso

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di Enzo Cuzzola – Nei prati e sugli alberi che cingevano il bordo della strada, fino a scuola, svolazzavano, assieme ai tanti passerotti, anche molti pettirosso. Svolazzavano impettiti, superbamente mostrando il porpora del petto. Non ci avevo mai fatto caso, prima di allora, ma quella specie di uccelli aveva invaso il paese. Mi piacevano e mi incuriosivano. Il cinguettio stridulo non poteva certo paragonarsi al cinguettio squillante, variegato ed intonato, dei cardellini o dei canarini di mastro Carmelo. A che servivano quegli uccellini così piccoli ed insignificanti che, come i passeri, non avevano neanche un bel canto. Davano solo fastidio ai contadini, che erano costretti ad impiantare gli orribili spaventapasseri.

Quella mattina decisi di chiedere notizie al maestro Zaccaria, la mia fonte di sapere, oltre a papà e zio prete. Gli chiesi a cosa servisse il pettirosso, che ruolo aveva quell’uccelletto insignificante, in natura. Non mi rispose, ma abbozzò un sorriso. Disse che appena possibile ci avrebbe portato una lettura, dalla quale avremmo capito l’utilità del pettirosso. Così avvenne. Una mattina portò un librone di racconti per ragazzi, consunto dal tempo e dall’usura. Mi disse che era un vecchio libro di letture della sua infanzia, lo custodiva gelosamente, per ricordo, nella sua libreria. Solo la mia curiosità, meritava l’impiego di quel volume.

Leggemmo a turno. Chi più, chi meno, spedito, chi più, chi meno, correttamente. Ma leggemmo tutti la leggenda del pettirosso. Il pettirosso in realtà era stato creato con il petto di colore grigio. Fu la sua pietà a dargli in premio il colore porpora del petto, del quale andava orgoglioso. Infatti il pettirosso si macchio il petto con una goccia di sangue di Nostro Signore, quando trovò il coraggio di sfilargli, con il beccuccio e con immane sforzo, una spina che gli era rimasta conficcata in testa, dalla corona, postagli sul capo dai soldati romani. Quella goccia di sangue non si sarebbe mai più smacchiata a perenne ricordo di quel nobile gesto.

Raccontai la leggenda anche a mamma. Mi disse che, per un essere vivente, non c’è cosa più bella che consacrarsi al Sacro Cuore di Gesù. Aveva ragione!

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