Migranti, il clamoroso retroscena sull’accordo Italia-Ue: ecco perché c’è poco di cui gioire

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Il premier Conte torna apparentemente vincitore in patria dopo le trattative con gli altri membri dell’Unione Europa in merito alla questione migranti

Questa mattina ci siamo risvegliati gridando al miracolo: “Sui migranti l’Italia non è più sola!“. Il premier Conte torna apparentemente vincitore in patria dopo le trattative con gli altri membri dell’Unione Europa in merito alla questione che più scalda gli animi e più sta a cuore agli italiani negli ultimi tempi. Ma si tratta davvero di una vittoria così schiacciante? E’ davvero una grande conquista quella ottenuta dal primo ministro al tavolo delle trattative europee? Al di fuori degli spot tipici della comunicazione di certa parte politica sono necessari un approfondimento e un’analisi minuziosa di quanto ottenuto e di quanto invece ci si aspettava di ottenere. Perché un motivo ci sarà se il ministro dell’interno Matteo Salvini, al quale la questione preme particolarmente, ha ritenuto opportuno precisare: “Non mi fido delle parole, vediamo che impegni concreti ci sono perché finora è sempre stato ‘viva l’Europa viva l’Europa, ma poi paga l’Italia“.

Palazzo Chigi/Filippo Attili/LaPresse

I fatti. Le conclusioni del Vertice Ue hanno affermato “il principio di un nuovo approccio che riguarda i salvataggi in mare: d’ora in poi si prevedono azioni basate sulla condivisione e quindi coordinate con gli stati membri”. Lo dice il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, il quale ha confermato che “è prevista la possibilità di costituire dei centri di accoglienza per consentire lo sbarco e se necessario il transito dei migranti anche in paesi terzi con Unhcr e Oim“. “Altro principio è quello per cui in Europa si possono creare dei centri di accoglienza ma solo su base volontaria – ha proseguito – i paesi che vogliono attrezzarsi per farli potranno fare dei centri basati su una gestione collettiva europea. Ancora, sara’ rifinanziato il fondo fiduciario per l’Africa. Avevamo chiesto che fossero intensificati i rapporti con i paesi da cui hanno origine i migranti e i paesi di transito. Infine la necessita’ di riformare Dublino e le regole della Sar. E’ stata una lunga negoziazione, ma siamo soddisfatti“, ha spiegato il premier che si è espresso anche in merito alla realizzazione di centri di accoglienza per migranti a gestione europea in Italia: “è una decisione che ci serberemo a livello governativo, collegiale. Direi che non siamo assolutamente obbligati a farlo“.

Le considerazioni. Innanzitutto, ad una prima lettura, balza subito all’occhio una questione cruciale: non ci sarà nessuna distribuzione obbligatoria di tutti i migranti tra i paesi dell’UE, ma solo una distribuzione volontaria dei rifugiati. Che è cosa ben diversa. Come ci ha diligentemente insegnato Giorgia Meloni solo un paio di settimane fa con tanto di video pubblicato sulla propria pagina Facebook (Giorgia Meloni: differenza tra migranti e rifugiati [VIDEO]), lo status di rifugiato è riferibile solo ad una bassissima percentuale dei migranti che sbarcano sulle coste italiane. Ciò che serviva al nostro Paese, in questo momento storico, era un supporto nel fare il “lavoro duro” in  merito all’accoglienza e ai controlli delle migliaia di anime che ogni anno si riversano dal Mediterraneo in Italia. Perché è lì che siamo carenti, è lì che la macchina burocratica italiana spesso e mal volentieri si inceppa. Ed è lì che i nostri leader devono dimostrare di essere all’altezza del compito che è stato loro affidato.

Altro punto fondamentale dell’accordo è il controllo delle frontiere esterne con centri di sbarco nei paesi extra Ue. In definitiva si fa concreta la possibilità di creare “piattaforme” Onu in Africa dove far sbarcare i migranti; peccato però che non si faccia nessuno riferimento alla Libia, come avevano chiesto gli italiani, e tanto meno si fa riferimento ai paesi in cui saranno create le piattaforme in questione, dando così vita ad uno scenario ancora più confuso e ancora nel fumoso “limbo” delle ipotesi. Nota concreta e immediata, in mezzo a questo fiume di buoni propositi europei, il rifinanziamento del fondo per l’Africa: “Il Consiglio europeo – si legge in una nota – conviene l’erogazione della seconda quota dello strumento per i rifugiati in Turchia e al tempo stesso il trasferimento al Fondo fiduciario dell’UE per l’Africa di 500 milioni di EUR a titolo della riserva dell’undicesimo FES. Gli Stati membri sono inoltre invitati a contribuire ulteriormente al Fondo fiduciario dell’UE per l’Africa al fine di rialimentarlo“.

LaPresse / Roberto Monaldo

Di concreto, dunque, c’è il fatto che l’Italia e tutti gli altri stati membri dovranno contribuire all’aumento del fondo fiduciario per l’Africa, nell’ottica di un “aiutiamoli a casa loro”, ma di respiro internazionale. Per il resto, questa vittoria tanto decantata dal nostro primo ministro sul quale avevamo riposto grandi speranze, ricorda un po’ la “vittoria mutilata” portata a casa dagli italiani con la fine del primo conflitto mondiale.  Considerando che l’Italia chiedeva l’apertura dei porti di tutta Europa ai barconi e la distribuzione di tutti i migranti tra i Paesi dell’Unione, obbligatoria ovviamente, il risultato portato a casa è alquanto deludente, sebbene lo si voglia far passare per un fruttuoso colpaccio. “Vediamo che principi, che soldi e che uomini ci sono“, ha precisato Matteo Salvini, fermo restando che i “principi fondamentali sono e continuano ad essere la protezione delle frontiere esterne, non lasciare sola l’Italia, un investimento vero in Africa e non a parole. Vediamo che impegni concreti ci sono su principi, soldi e uomini – ha concluso – perché ad esempio nell’operazione Themis, che dovrebbe essere un’operazione europea, su 32 imbarcazioni 30 sono italiane“. Salvini aspetta i fatti perché non si fida delle parole e a noi italiani non resta che fare altrettanto: per le parole ci sono le campagne elettorali, e del fumo senza arrosto ormai ce ne facciamo ben poco.

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