A Palermo gli eventi di commemorazione della strage di via d’Amelio in cui persero la vita il giudice Borsellino e gli uomini della scorta
Oltre alla commemorazione di oggi nei luoghi in cui avvenne l’attentato, in via d’Amelio sotto alla residenza della mamma del giudice Borsellino, gli eventi in ricordo del magistrato e degli uomini della sua scorta si sono susseguiti anche nei giorni scorsi, in collaborazione tra il Reparto Scorte e alcune associazioni tra le più attive: il Movimento delle Agende Rosse, La casa di Paolo e 100×100 in Movimento. Una partita di calcio solidale, l’inaugurazione di una nuova sede della Segretaria SIAP Siracusa con la presenza del vice Capo prefetto Savina e del Segretario Generale Tiani, la visita al Reparto Scorte di Palermo della società civile, con momenti di riflessione, lettura di poesie, ricordi. A presenziare anche il primo cittadino palermitano Leoluca Orlando e il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho che hanno voluto portare personalmente il proprio saluto ai poliziotti del Siap e hanno indossato la maglietta azzurra ideata dagli agenti.
E’ stato un anno proficuo e illuminante questo 2018 per giungere alla verità, perché i giudici della Corte d’Assise di Caltanissetta hanno confermato che dietro ad una delle pagine di storia più nere e terribili del nostro Paese c’è stato “uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana”. Ma se molto è stato fatto, tanto c’è ancora da fare e anche il segretario provinciale del Siap di Genova, Roberto Traverso, dopo aver plaudito all’iniziativa dei colleghi di Palermo e del Movimento delle Agende Rosse, ha sottolineato che “essere a Palermo significa commemorare chi è morto per lo Stato, ma anche continuare a lottare per ottenere finalmente giustizia”.
Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi, Claudio Traina, Vincenzo Fabio Li Muli. Questi i nomi degli agenti della scorta di Borsellino presenti al momento dell’attentato oltre ad Antonino Vullo, unico sopravvissuto, e che hanno perso la vita per difendere non solo un uomo, un magistrato, ma quello stesso Stato di fronte al quale avevano prestato un giuramento. Quello stesso Stato che ha però covato in seno i traditori che hanno ordito e avallato la loro morte, in nome di un intrigo di potere tra mondo politico e Mafia utile a fondere definitivamente gli uomini di Stato con i mafiosi. Utile a portare gli esponenti della criminalità organizzata ad indossare, senza timore di essere riconosciuti, quei tanto agognati colletti bianchi grazie ai quali avrebbero potuto, e hanno conquistato, il mondo economico. Uno dei più grandi timori del giudice Falcone era che i mafiosi potessero così tanto entrare a far parte della politica e dell’economia, da non essere più riconosciuti e riconoscibili. E la sua morte, come quella di Borsellino e di tutte le vittime di mafia, è servita proprio a questo: spegnere quelle voci consapevoli e lungimiranti che riuscivano a leggere anche tra le righe. Ma spegnendo una di quelle voci si possono accendere mille coscienze, e allora forse una soluzione affinché tutto questo sangue non sia stato versato inutilmente c’è: far venire alla luce la verità, anche dopo 26 anni.