Prima opera lirica della stagione 2018/19, va in scena al teatro Vittorio Emanuele di Messina uno dei capolavori del melodramma italiano
Ognuno di noi, sicuramente, avrà sentito almeno una volta nella propria vita, anche distrattamente, quello che è ormai quasi divenuto, per antonomasia, il brindisi dei brindisi: quel “Libiamo ne’ lieti calici” con cui Alfredo si appresta a tendere le reti amorose verso la traviata Madamigella Valery. Noi, nel 2018, tanto asfissiati (ed oserei dire vinti!) dall’insistenza degli anglismi, la avremmo definita una “escort”… Dumas prima, Verdi e Piave dopo, la avrebbero più elegantemente chiamata, probabilmente, “prostituta d’alto borgo”; fatto sta che, trascurando queste inutili ciance, da noi non può che giungere un sincero apprezzamento in virtù del fatto che il “Vittorio Emanuele” abbia portato in scena quello che è forse uno dei manifesti più alti della ipocrisia, del falso perbenismo, della ipocrita moralità borghese; la quale peraltro si muove sullo sfondo ancor più pittoresco di una Parigi tardo ottocentesca ricca, ma forse un po’ farisea. Giorgio Germont che si reca da Violetta a imporgli di lasciare Alfredo riporta alla nostra memoria tanti di quei vuoti pregiudizi e di quelle stancamente trite doppiezze di cui la nostra società si macchia: e prova ne è il pentimento finale del vecchio padre, che solo con la sofferenza della povera donna si redimerà.
Andando tuttavia al dunque, analizzando l’allestimento in sé, non possiamo che apprezzare la bella regia del maestro Carlo Antonio De Lucia, molto filologica, alla cui mano si devono anche scene e costumi, anch’essi molto rispettosi del libretto di Francesco Maria Piave: contro quanti vorrebbero magari trasporre questa vicenda (snaturandola, annientandola!) in una insensata contemporaneità, sono state riaffermate istanze di lettura filologica di un libretto d’opera. Buono anche il cast, a partire dal soprano Elvira Fatychova nel ruolo di Violetta, soprano giovane ma davvero promettente per il quale auspichiamo una fiorente carriera, e passando per il tenore Roberto Iuliano nel ruolo di Alfredo, la cui prestazione è stata da apprezzare, ma sicuramente non al pieno delle sue forze. Notevoli anche i comprimari, partendo dalla brava Sara Palana, nel ruolo di Flora, passando per il baritono Giuseppe Altomare, nel ruolo di Giorgio Germont, dal bel timbro; merita tuttavia tra essi una particolare nota di merito per bravura e presenza scenica il soprano reggino Francesca Canale, nel ruolo di Annina, la domestica di Violetta. Da apprezzare tuttavia anche gli altri personaggi, dal barone Duphol, interpretato da Alberto Crapanzano, passando per il giovane ma invero bravo Davide Scigliano, nel ruolo di Gastone, continuando con Alessandro Vargetto, un basso davvero convincente, nelle vesti del Marchese d’Obigny, e terminando con Maurizio Muscolino, nei panni del dottore Grenvil, Marcello Siclari nel ruolo del commissionario e Nino Mauceri nelle vesti di Giuseppe e del domestico di Flora. Nota di particolare apprezzamento vogliamo tuttavia poi rivolgerla a quello che possiamo autenticamente considerare una delle maggiori motivazioni di buona riuscita di questo allestimento: il possente coro lirico “F. Cilea”, a nostro modesto avviso considerabile come una punta di diamante della lirica italiana, diretto come sempre dal bravo maestro Bruno Tirotta. Molto buona è stata infine la prestazione dell’orchestra del teatro “Vittorio Emanuele”, diretta dalla bacchetta di Carlo Palleschi (inossidabile garanzia di bravura e di qualità). Sperando infine che tali eventi siano costanti e non un unicum nel panorama culturale della città siciliana dello stretto, porgiamo un conclusivo plauso a chi ha permesso tale evento, sperando che ce ne siano in futuro di molti simili.