È andato in scena al teatro “Cilea” di Reggio Calabria un bell’allestimento del celebre capolavoro mozartiano
Il Rhegium Opera Festival 2018/19 chiude i battenti, per quanto riguarda la sezione relativa all’opera lirica, con uno dei più grandi capolavori di tutta la storia del melodramma: il “Don Giovanni” di W. A. Mozart. Ed a riguardo non possiamo che incominciare, innanzitutto, rivolgendo un convinto e sentito plauso all’organizzazione “Traiectoriae”, organizzatrice, insieme al comune di Reggio Calabria, dell’evento e del festival tutto; ed in particolare vogliamo rallegrarci per la scelta di un’opera non di frequente rappresentata, e perché non ci sono state propinate (Deo gratias!) solamente delle stancamente trite violette Valery, o che non siano state nemmeno toccate (alleluja!) le gelide manine o i gualtier maldè di turno: opera lirica non è solo “Traviata”, “Rigoletto”, o “Bohème”; ma a questo universo appartengono anche, per fortuna, tanti altri capolavori. E di perseguire questo intento, ovverosia, di voler far conoscere al pubblico di una città come Reggio (ormai quasi disabituata a questo genere artistico!), anche le opere meno conosciute e, diciamo, “minori”, la associazione ha dato chiaramente segno sin dalla prima edizione del festival, aprendo quella stagione proprio con la poco nota (ai “non addetti ai lavori”) “Nozze di Figaro”! Opera che, peraltro, proprio con il nostro “Don Giovanni” e con il “Così fan tutte” costituisce la cosiddetta “triade dapontiana”: tre capolavori frutto del genio musicale di Mozart e di quello librettistico di Lorenzo Da Ponte, apogeo della musica settecentesca.
Ad ogni modo, passando all’analisi dell’allestimento in sé, non possiamo che apprezzare, nel complesso, la messinscena, constatando tuttavia delle note di demerito: regia e scene. La prima, firmata, da Franco Marzocchi e da Sofia Lavinia Amisich, risulta ai nostri occhi poco fedele del libretto: benché possa essere definita “tradizionale”, dal momento che ambienta (per fortuna!) l’opera nel Settecento, ne annichilisce tuttavia completamente i significati, nullificando completamente la poetica dapontiana: la mano dei due registi trasforma quasi il malinconico e decadente capolavoro mozartiano in un’opera buffa, tutta da ridere: si perdono, così, i temi della malvagità di don Giovanni (diventa quasi un eroe positivo!) e della malinconia dei personaggi (e, pertanto, dell’umanità in generale), della critica alla aristocrazia ed al potere costituito, di cui quest’opera è impregnata, declinando solo gli spunti buffi e risibili (dei quali l’opera è comunque intessuta). E nemmeno le scene, per l’appunto, firmate da Angelo Ciano, risultano pienamente soddisfacenti: una sottospecie di lunghissime tende che cambiano compulsivamente colore e che nullificano ogni plausibile volontà dello spettatore di comprensione degli spazi su cui dovrebbero muoversi i personaggi; belli invece i costumi, ad opera di Alessandro Lai.
Passando tuttavia al vero e proprio cast, non possiamo che partire proprio da Roberto Scandiuzzi, che ha interpretato proprio Don Giovanni: una conferma sempre inossidabile per l’indiscutibile bravura, in riferimento alla quale va fatta da noi particolare menzione alla sua titanica presenza scenica. Buona (ma ci aspettavamo qualcosina in più!) la prestazione del baritono Orlin Anastassov nei panni del servo Leporello, e quella di Paoletta Marrocu nelle vesti di donna Elvira (ci sorge a suo riguardo tuttavia un quesito: non sarebbe meglio fare sì che canti, ad esempio, Verdi, piuttosto che Mozart?!). Faro indiscusso della lirica reggina, il maestro Liliana Marzano ha rivestito questa volta (magistralmente!) i panni questa volta di donna Anna; e sulla sua stessa scia si pone il don Ottavio di Didier Pieri: una bella voce la sua, da vero tenore mozartiano. Molto buone poi le prestazioni di Alexandra Zabala e di Salvatore Grigoli nelle vesti, rispettivamente, di Zerlina e di Masetto; un po’ sottotono è stato forse, infine, il commendatore di Vedat Dalgiran.
Maestoso e possente, come sempre, è stato infine il coro Cilea, consueta garanzia di successo in ogni repertorio operistico, come appunto in questa esigua “particina” riservatagli dal genio salisburghese, diretto, come di consueto, dal maestro Bruno Tirotta; ed allo stesso altissimo livello del coro è stata l’orchestra del teatro Cilea, diretta questa volta dalla promettente e convincente bacchetta del maestro Gianna Fratta. Auspicando dunque che l’opera lirica torni presto a calcare trionfante le scene del teatro della nostra città, porgiamo il nostro consueto conclusivo plauso all’organizzazione tutta.