Reggio Calabria, al processo sulla ‘Ndrangheta stragista il pentito Giovanni Brusca svela ulteriori dettagli sull’omicidio del giudice reggino
L’omicidio del sostituto procuratore generale della Cassazione Antonino Scopelliti fu deciso come “gesto preventivo” per rafforzare i legami di Cosa nostra con la ‘ndrangheta. A dirlo è stato il collaboratore di giustizia Giovanni Brusca, rispondendo alle domande del procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo nel processo “‘Ndrangheta stragista“. Brusca, l’uomo che azionò il telecomando che fece brillare l’esplosivo che uccise Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli uomini della sua scorta, ha detto di non avere notizie particolari sull’omicidio di Scopelliti ma ha sottolineato che per il capo di Cosa nostra “rappresentava un monito per chiunque avesse continuato il suo lavoro in Cassazione“. Scopelliti, infatti, avrebbe dovuto sostenere la pubblica accusa nel maxi processo alla mafia. Il collaboratore, figlio di Bernardo, ex capo mandamento di San Giuseppe Jato e fedelissimo di Totò Riina, ha anche parlato dei legami dello stesso Riina con il clan Piromalli di Gioia Tauro e dei suoi interventi per sanare alcune fratture fra le cosche della ‘ndrangheta di Reggio Calabria, sfociati in sanguinose faide. Brusca, autore dell’omicidio del piccolo Francesco Di Matteo, ucciso per vendetta contro il padre che si era pentito, ha confermato i tentativi di Cosa nostra di aggiustare il maxi processo in Cassazione, chiamando in causa don Giovanni Stilo, ex parroco di Africo Nuovo, e l’avv. Giuseppe Lupis, al quale anni fa vennero sequestrati, al valico di Como, titoli di Stato americani del valore di circa trenta miliardi di vecchie lire, senza che ne spiegasse la provenienza, “perchè avevano agganci giudiziari a Roma“. Brusca ha anche riferito delle dinamiche interne a Cosa nostra, dei rapporti tra Riina e Giuseppe Graviano, imputato nel processo sulla “‘ndrangheta stragista“, rimasto fedele alla linea dura del boss corleonese insieme a Leoluca Bagarella, Salvatore Biondino e Matteo Messina Denaro – quest’ultimo indagato nella nuova inchiesta sull’omicidio Scopelliti insieme ad altri 17 boss calabresi e siciliani – e sui contrasti sorti tra Bagarella e Provenzano subito dopo l’arresto di Riina per il comando di Cosa nostra, mai sopiti.