Il Canone Rai, la tassa sulle TV: tutto quello che in pochi sanno sul balzello più odiato dagli italiani

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Storia e curiosità sul Canone Rai, la tassa imposta dallo Stato sul possesso di apparecchi televisivi

Il canone TV, tra le varie tasse  e balzelli nazionali è probabilmente “il più odiato dagli Italiani” ed è forse quello che, negli anni ha subito le più strane  metamorfosi pur di garantire la propria esistenza. Nato negli anni ’50 del secolo scorso a seguito dell’avvento della televisione, il canone Tv andava a comprendere anche il canone di abbonamento alle radioaudizioni (abbonamento alla radio) al fine di trovare risorse per pagare i costi di gestione della RAI, secondo il comprensibile assioma che “se vuoi un servizio, devi pagarlo”. Nei primi  anni ’70 apparvero le prime TV private, dapprima via cavo, che applicavano anche esse un canone.

Dopo qualche anno vi fu l’esplosione delle emittenti TV su banda radio (come la RAI) che invece, a fronte degli introiti pubblicitari percepiti,  fornivano programmi gratuiti all’utenza. Fu allora che la gente iniziò a mal digerire il fatto di dover pagare un servizio allo Stato,  quando i privati lo offrivano gratuitamente.

Come spesso accade, nacquero scuole di pensiero contrapposte: c’era chi affermava che il canone RAI era comunque da pagare in quanto la RAI svolgeva una funzione pubblica; c’era chi affermava invece che la RAI non poteva essere privilegiata rispetto ai privati e chi, ancora, riteneva di non dover pagare il canone perché non intendeva fruire della visione dei canali RAI (giungendo persino a farsi “piombare” gli apparecchi televisivi per dimostrare che non si era in grado di sintonizzarsi sui canali della TV nazionale).

Lo stato rispose, in un primo tempo ed al fine di incentivare il pagamento del canone, adottando premi a sorteggio per tutti coloro che pagavano l’abbonamento, senza tuttavia riuscire ad eliminare l’evasione del canone stesso da parte di tanti cittadini.

Per tagliare la testa al toro ci pensò una mente sopraffina della burocrazia dello Stato: cambiare tutto per non cambiare niente.

Scomparve così l’abbonamento alla Rai e nacque la tassa di possesso di un apparato TV!

Cioè non importava più se il cittadino vedeva o no i canali RAI ma, per l’obbligo del pagamento della tassa, bastava il semplice possesso di un apparato TV.

Di fatto, così, ogni nucleo familiare italiano avrebbe dovuto pagare il canone, senza se e senza ma.

Ciò che non tuti sanno è il fatto che la tassa di possesso,  oltre alle famiglie, devono pagarlo anche  tutti i  soggetti (uffici, studi professionali, altre attività economiche, imbarcazioni) nei cui locali è presente un televisore o qualsiasi altro dispositivo atto a processare un segnale televisivo.

In termini pratici anche i grandi monitor, ancorché utilizzati in tanti uffici per scopi interni come demo e videoconferenze, sono apparecchiature che rientrano nella categoria Tv, in quanto provvisti di sintonizzatori, anche se mai utilizzati o persino non collegati ad alcuna antenna.

La RAI, attraverso il proprio sito, al fine di fugare ogni dubbio su chi debba  pagare il canone (sì, viene chiamato ancora così) dice testualmente:

Devono pagare il canone speciale coloro che detengono uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni radio televisive in esercizi pubblici, in locali aperti al pubblico o comunque fuori dell’ambito familiare, o che li impiegano a scopo di lucro diretto o indiretto. 

In pratica tutti, sia in ambito familiare che extra e persino se si possiede un a barca con Tv a bordo, devono pagare un “canone speciale”, che varia da circa  400 euro l’anno per la maggior parte degli esercizi fino ad oltre 6.000 euro annui per i grandi alberghi.

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