Il Coronavirus ci ha resi tutti uguali?

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Quando sconfiggeremo il Coronavirus, che ci ha accomunati e resi tutti uguali, che non tiene conto delle nostre barriere nazionali, culturali e religiose, che possiamo uscire da questo disastro sanitario più uniti che mai, perché questa è la nostra comune vocazione: essere tutti uguali perché tutti siamo uomini, umani con la stessa voglia di vivere dignitosamente

La situazione che il Mondo intero sta vivendo attualmente, a causa del coronavirus, è simile a quella che ha vissuto il Popolo d’Israele al tempo del profeta Geremia. Ecco perché mi concedo la libertà di adattare il cantico del profeta Geremia alla nostra situazione attuale. Il suddetto cantico è trattato dal libro del profeta Geremia, capitolo 14, dal versetto 17 al 21. Parafrasando ed adattando, metto sulla bocca del profeta quanto segue: “I miei occhi grondano lacrime notte e giorno, senza cessare. Da grande virus è stato colpito il mondo intero, da una ferita mortale. Se guardo dalla finestra della mia casa dove vivo in confinamento, ecco le strade vuote; se percorro con lo sguardo la città in cui vivo, ecco gli orrori della solitudine, nessuno esce di casa. Anche i Governanti, il Papa, i Vescovi ed i Sacerdoti si aggirano nei loro appartamenti e non sanno che cosa fare. Hai forse rigettato completamente le donne e gli uomini che tu stesso hai creato, oppure ti sei disgustato delle nostre azioni in questo mondo? Perché ci hai colpito, e non c’è rimedio per noi? Aspettavamo la pace, il lavoro, il boom economico ma non c’è alcun bene, l’ora della salvezza, l’apertura dei nuovi supermercati, dei centri commerciali, delle discoteche, dei luoghi del divertimento ed ecco il terrore! Riconosciamo, la nostra iniquità, Signore, l’iniquità dei nostri padri, dei nostri Governi, delle nostre chiese, della nostra indifferenza gli uni nei confronti degli altri, del nostro egoismo: contro di te abbiamo peccato. Ma per il tuo nome, non abbandonarci, non render spregevole il trono della tua gloria.

Ricordati! Non rompere la tua alleanza con noi”. In questo momento, così difficile, molti si chiedono: “dove è Dio, perché non risponde al nostro grido di dolore”? Non intendo addentrarmi in questo brano per rispondere a questo quesito, che in tanti ci poniamo. Vorrei invece fare un altro ragionamento su come questa disgrazia ci ha fatto capire che, nonostante tutto, siamo, dinanzi al dolore, tutti uguali, ed occorre che questa esperienza dolorosa, che sta paralizzando il mondo intero, ci aiuti a riflettere, ad essere umili, ad amarci e a non farci del male discriminandoci. Ecco perché voglio cominciare questo articolo con un adagio di un autore antico che diceva: “sono un uomo e nulla di ciò che è umano mi è estraneo”. Si può interpretare in tanti modi questo detto, a me piace, tra le tante interpretazioni, una: “tutto ciò che riguarda gli umani, tutto ciò che capita agli uomini, essendo umano anch’io, mi riguarda e mi può capitare, perciò mi deve interessare”. So che le eccezioni non mancano mai in ogni società, ma fino a pochi mesi fa, eravamo tutti, in generale, immersi in ciò che Papa Francesco chiama: “la globalizzazione dell’indifferenza”. Un individualismo puro e semplice; ognuno piegato su se stesso come se si contemplasse l’ombelico. Ognuno andava per la sua strada. Eravamo indifferenti a ciò che capitava alle donne, gli uomini ed ai bambini che subivano violenze nelle cosiddette zone di guerra.

Non ci indignava il traffico delle armi da guerre che fabbricavamo per alimentare e mietere morti altrove, non ci riguardava nulla dei rifiuti industriali tossici ed altamente inquinanti che partivano per causare la morte tra la gente innocente. Non ci preoccupavamo delle conseguenze nocive delle nostre politiche economiche, ambientali e così via. Vivere come se Dio non esistesse era diventato, in generale, la nostra filosofia di vita. La strada che porta alla chiesa parrocchiale, in tanti, non la percorrevamo più. I pocchi che in chiesa ci indavano, anche loro, salvo qualcuno, erano pure di fatto lontani da Dio, immersi nei pettegolezzi, nelle diffamazioni, incapaci di perdonare quelli tra di loro che sbagliavano. Quello che per noi era importante era il nostro benessere individuale, il lavoro, i soldi, il potere, l’apparire forti davanti agli altri, fare una bella figura, comandare. L'”io” aveva preso il posto di Dio, siamo pian piano caduti nel culto della nostra personalità, ci siamo auto-adorati anziché adorare Dio. La sofferenza degli altri non ci interessava, anzi, chi soffriva e ci chiedeva aiuto, ci era di peso, era di conseguenza da evitare, da sbattergli la porta in faccia, perché, pensavamo fosse un problema per la nostra sicurezza personale, insomma, un fastidio. Finché un virus mortale non è arrivato a dirci che: siamo tutti fragili, ricchi e poveri. Il problema di uno è il problema di tutti, ciò che oggi tocca a me, domani potrebbe toccare a te. La mia sofferenza di oggi può diventare la tua un domani. Il coronavirus ci ha insegnato che: la razza è una, quella umana. Il ricco e il povero, i potenti, o meglio quelli che si credevano tali, alla fine, tutti si sono improvvisamente ritrovati sullo stesso piano. Questo male non fa distinzione di alcun genere; non c’è il ricco e non c’è il povero, non c’è il Bianco e non c’è il Nero. Insomma, siamo, dinanzi a questo virus, tutti uguali. Speriamo che il buon Dio ci aiuti presto a sconfiggere questo male del secolo: il coronavirus, che sta decimando la nostra razza, l’unica che abbiamo in tutti i continenti, la razza umana.

Il mio auspicio, perciò, è che, quando sconfiggeremo questo male del secolo, che ci ha accomunati e resi tutti uguali, che non tiene conto delle nostre barriere nazionali, culturali e religiose, che possiamo uscire da questo disastro sanitario più uniti che mai, perché questa è la nostra comune vocazione: essere tutti uguali perché tutti siamo uomini, umani con la stessa voglia di vivere dignitosamente. Come tutti ora, a causa di questo coranavirus, soffriamo, avvertendo la carenza e la mancanza dell’esperienza tattile, delle coccole e degli abbracci delle persone a noi care, la paura del contagio ce lo obbliga, possiamo davvero smetterla con le cattiverie, le calunnie, la discriminazione razziale e/o quella basata sul genere. Vorrei che riuscissimo a capire che tutto ciò riguarda l’Asia, l’Europa, l’America, l’Africa e l’Oceania ci riguarda tutti.
Che cerchiamo insieme, uniti più di prima, di essere buoni, umili e caritatevoli. Insomma, cerchiamo Dio, che fino adesso abbiamo trascurato. Facciamo delle buone politiche, inclusive, affinché la ricchezza della madre terra non sia concentrata nelle mani di pochi ma condivisa da tutti. In più, che la morte di chi viene ingiustamente ucciso in Africa, in Europa, in America ed in Oceania susciti l’indignazione di tutti e trovi spazio sui nostri giornali e televisioni, come lo stiamo facendo in questo momento quando parliamo delle vittime di questo virus mortale. Concludo esprimendo tutta la mia solidarietà, preghiera e vicinanza alle famiglie colpite, che improvvisamente hanno visto sgretolarsi tutti i loro piani di vita. Quelli che fino adesso sono deceduti, che Dio misericordioso li accolga nella sua pace e conforti i loro parenti. Tutto, improvvisamente, è cambiato, cambiamo anche noi ed impegniamoci a fare degli investimenti nelle ricerche scientifiche che possano salvare e promuovere la vita della nostra razza: una ed unica per tutti gli esseri umani. Che Dio benedica il Mondo intero, ci aiuti ad andare avanti, ad amarci, a perdonarci vicendevolmente e che non rompa la sua alleanza con noi.

Don Alain Mutela Kongo

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