Reggio Calabria, anziana muore all’ospedale di Polistena. I familiari scrivono al primario Amodeo: “consideriamo gravi, infondate e infamanti le sue accuse e la invitiamo a riflettere sulla verità dei fatti assumendo ogni consequenziale e opportuno atteggiamento”
Di seguito il testo integrale della lettera aperta al Dott. Vincenzo Amodeo, Primario U.O. Cardiologia Utic. Ospedale di Polistena: “consideriamo gravi, infondate e infamanti le sue accuse e la invitiamo a riflettere sulla verità dei fatti assumendo ogni consequenziale e opportuno atteggiamento”.
Grazie, Dott. Amodeo,
La ringraziamo perché il suo imprudente e impudente comunicato stampa, diffuso tramite diverse testate giornalistiche, ci dà l’opportunità di fare chiarezza su quanto realmente accaduto nel reparto di cardiologia dell’ospedale di Polistena da lei diretto, il 27 febbraio u.s., contrastando in maniera netta le tante mistificazioni contenute nello stesso comunicato. Indubbiamente avremmo preferito essere invitati da lei e fornire gli elementi necessari per la ricostruzione dei fatti in modo veritiero. Mi presento. Mi chiamo Vincenzo Massara e sono il secondogenito dei cinque figli, uno prematuramente scomparso, e lui sì per una gravissima patologia incurabile, della Sig.ra Ierace Caterina, quella che lei ha definito una paziente “ottantottenne” in condizioni cliniche critiche. Vede Dott. Amodeo, quell’ottantottenne è stata moglie, madre e nonna e ancora una volta mamma di tre nipoti rimasti orfani di entrambi i genitori. Per noi figli, Madre e mamma come lo sono tutte le madri per tutti i figli; per noi, così come per tutti, storia di affetti e di vita. Quell’ottantottenne proviene da una famiglia perbene, conosciuta e stimata non solo nel circondario di residenza e, le migliaia di persone che si sono strette nel cordoglio della famiglia ne sono testimonianza. Credo sia necessario, Dott. Amodeo, prima di arrivare al capitolo delle aggressioni cui lei, ripeto imprudentemente e impudentemente ha fatto riferimento, fare un piccolo resoconto della permanenza di mia madre in quel reparto. Lo faccio poiché, per come lei ha riportato i fatti, dimostra di non aver mai avuto contezza della paziente ottantottenne se non la mattina del decesso.
Il 18 febbraio vengono ascoltate le spalle e le si chiede se aveva già eseguito RX Torace. Mia madre risponde: “Si. L’ho fatto a casa ma anche qui, voi dovreste averle “. Evidentemente, però, la lettura della cartella clinica nel suo reparto assume valore marginale!
Il giorno 20 febbraio potrebbe essere definito “il giorno del garbo”. Una Dott.ssa sulle cui qualità umane e professionali (le prime trovano però corrispondenza nelle seconde) evito volentieri di soffermarmi, decide di togliere i fialoidi di Lasix perché “giunta l’ora dello svezzamento”, con il solo risultato di aver procurato un significativo rallentamento nel rilascio dei liquidi, tanto che il giorno dopo, non senza irritazione, per la decisione della Dott.ssa il medico che la visita decide di rimettere i fialoidi. Il 22 febbraio si replica “il giorno del garbo”; la stessa Dott.ssa, si erge a primario del reparto, butta fuori tutti per l’emergenza Coronavirus e, rivolgendosi a mia sorella con evidente sproloquio dice: “Gli anziani vanno tenuti a casa, dal pronto soccorso per un nonnulla ce li mandano qui, sua mamma non ha niente, non c’è nessun scompenso, il BNP è buono”. La stessa cosa ripete anche, successivamente, in mia presenza. Passano altri due giorni tra alterne vicende, cambio di piano terapeutico e alimentare ecc. Giorno 24 viene rivisitata da altro medico il quale riferisce a mia sorella che “è migliorata, ancora qualche giorno e poi può tornare a casa”. Nella stessa giornata si registra il decesso della paziente che occupava la stessa stanza di mia madre. Durante le operazioni che seguono il decesso, allontanati i familiari dalla stanza e quindi in presenza del personale sanitario e parasanitario, si verifica un episodio a dir poco sgradevole: vengono sottratti dalla borsa di mia sorella, lasciata nella stanza di degenza, 600 € di cui una parte doveva essere consegnata alla signora che assisteva mia madre durante la notte. L’episodio è di sua conoscenza in quanto reso edotto dal suo vice, il quale chiede a mia sorella di non sporgere immediatamente denuncia perché avrebbe cercato di risolvere la questione all’interno. La questione non è stata risolta! Mia sorella si reca in seguito a sporgere denuncia come qualunque cittadino corretto ha il diritto e dovere di fare.
Sento il dovere di sottolineare, perché certificato dagli esami fatti immediatamente prima del ricovero, che questi valori erano distanti notevolmente dai quei risultati, fermi a 9.000, quindi nel normale range. Esami tutti consegnati alla Dott.ssa di turno al momento del ricovero e, probabilmente mai considerati. Sempre a proposito di garbo e professionalità, all’alba della mattina del 27, l’infermiere di turno, con toni alterati e inopportuni, senza alcuna plausibile ragione, obbliga la signora che assisteva mia madre durante la notte, ad uscire dalla stanza e dal reparto, facendo sentire la sua voce rimbombare in tutto il corridoio e non permettendo a alcuno di avvicendarsi per l’assistenza dovuta.
I miei fratelli, avendo appreso che mia madre non aveva riposato durante la notte e che avvertiva dei dolori, chiedevano di poter conferire con lei, Dott. Amodeo. In questa occasione lei, prima ancora di aver esaminato la cartella, incomincia a parlare di tasso di mortalità degli anziani, a causa dello scompenso cardiaco, facendo riferimento anche a sua madre coetanea della mia. Allorché, nel sentire queste affermazioni e non riuscendo a capire l’attinenza, con ingenuità, i miei fratelli le chiedevano per quale motivo lei stesse affrontando questo argomento, nel mentre tutti i medici che si erano alternati nei dodici giorni di degenza, mai avevano parlato di situazione di gravità. Lei come risposta ha ripetuto questo brocardo dialettale: “ cu cunta menti la junta”. Le vorrei ricordare che sono stati i miei fratelli a informarla che nostra madre, quella mattina aveva i globuli bianchi a 26.000, dimostrando di essere all’oscuro circa le sue condizioni. Una delle mie sorelle la invitava a visionare i risultati delle analisi a ritroso, increduli che lei e i medici che si sono alternati durante la degenza NON vi foste accorti del progressivo aumento dei suddetti valori, che naturalmente indicavano un’infezione che andava prontamente curata con adeguato antibiotico. Ma Lei, senza curarsi molto di quanto le veniva esposto e minimizzando sull’infezione, dopo aver visionato solo tre dei risultati, provvedeva a chiudere celermente la cartella. In questo frangente i miei fratelli la informavano che era stato richiesto dal medico di turno della sera prima, l’esame della punta del catetere. Il colloquio si è concluso con la sua frase: “Tranquilli, adesso vediamo, voi fate riferimento soltanto a me”. Stretta di mano e ringraziamenti da parte dei miei fratelli. Ore 11.20 lei, Dott. Amodeo, entra da mia madre accompagnato da un medico volontario per eseguire un ecocardiogramma, dicendo, inoltre, che verrà eseguito anche un eco-addome; alla domanda di mia sorella incrontandola in sala d‘aspetto Lei risponde: “ci vediamo dopo”. Un dopo che non c’è stato!
Altri pochi tragici minuti e accorre il personale del reparto di rianimazione, la stessa dottoressa che ha ordinato l’esame, un’infermiera con l’elettrocardiografo, tutto nella confusione più totale. Pochi minuti ancora e i rianimatori escono, esce anche la ben nota Dott.ssa e via via tutti gli altri in un silenzio vigliacco e agghiacciante alla domanda disperata delle mie sorelle su cosa fosse accaduto, la dottoressa risponde solo con un fugace “mi dispiace” e corre via di tutta fretta in ascensore. Mia mamma era morta! Dieci minuti per spegnere la vita dell’ottantottenne mamma. Io già per strada, non ho avuto nemmeno il tempo di arrivare per poterla salutare. L’ottantottenne non c’era più! Per lei un’anziana paziente, per noi figli la nostra storia! Arrivati in reparto abbiamo bussato alla porta della Dott.ssa per chiedere spiegazioni, non rispondendo, io stesso ho aperto la porta trovando la Dott.ssa con la cartella clinica in mano, fogli sparsi sulla scrivania con l’evidente intento manipolatorio. Ho immediatamente chiesto alla Dott.ssa di non toccare la cartella fino all’arrivo della polizia di stato che nel frattempo da noi stessi era stata avvertita. Ho invitato la Dott.ssa con toni accesi, questo si, a chiudere la porta fino all’arrivo della polizia. Dott. Amodeo la polizia non ha dovuto sedare alcunché. Nessuna aggressione è mai stata fatta né da me né dai miei fratelli. Siamo gente perbene a cui nell’arco di dieci minuti è stata tolta la mamma. Di certo, glielo assicuro, la supponenza, l’arroganza, l’insensibilità di quella Dott.ssa avrebbe meritato veramente molto di più di un’aggressione fisica, che purtroppo o per fortuna non rientra nel costume della mia famiglia. Dott. Amodeo, lei dice nel suo comunicato, in maniera ambigua, che abbiamo tempestivamente ritirato la denuncia per “motivi facilmente intuibili”.
Cavalcare l’onda mediatica delle aggressioni, potrebbe essere anche lecito, ma non in questo caso dove le aggressioni non ci sono state tantomeno le minacce, e dove probabilmente le hanno riportato notizie distorte, la cui prudenza avrebbe suggerito di accertarne la veridicità. Lei prima di diffondere quelle mistificazioni, avrebbe dovuto accertare la verità dei fatti; fatti che indubbiamente sto riportando con la pena e il dolore di un figlio che non ha potuto salutare la propria madre: forse mia madre, nostra madre aveva ormai poco tempo davanti, o forse avremmo ancora goduto della sua presenza e del suo dolce e amorevole sguardo, per un tempo che nessuno può conoscere, ma questo non doveva dipendere dall’imperizia dell’uomo. Né è stato ritenuto opportuno dare alcuna spiegazione a dei figli che hanno messo la propria madre nelle mani di persone “competenti”. Nell’arco di dieci minuti, l’ottattottenne, entrata viva, lucida, accompagnata dagli sguardi dei suoi figli, dopo aver lanciato un urlo, si è spenta: nessuna parola, solo indifferente silenzio. Ancora oggi non ci sono state riferite le cause della sua morte. Nonostante ciò, è giusto che lei sappia che non ci sono state minacce o aggressioni, solo una reazione da parte di chi si è fidato e ha creduto nella competenza, nella professionalità e nell’umanità puntualmente smentite da ciò che si è verificato. Siamo amareggiati della strumentalizzazione da lei fatta; riusciamo, però, a comprendere anche il motivo. Ma ciò non l’autorizza a mistificare una situazione che, se analizzata con verità, pone in evidenza responsabilità gravi da parte di chi si è approcciato con superficialità.
Ci chiediamo inoltre, se i fatti sono andati come da lei affermato, perché l’aggressione di cui si dice vittima, non è stata immediatamente denunciata nonostante la presenza, in quei momenti degli agenti della polizia di Stato? Vede, crediamo che nel suo tentativo mistificatorio sia sfuggito, un particolare importante: la discussione con la dott.ssa è avvenuta in presenza degli agenti e diversi sono i testimoni nel momento in cui la porta dello studio della dott.ssa è stata aperta: la “signora” stava maneggiando fogli che appartenevano alla cartella clinica e che frettolosamente ha ricomposto all’interno della stessa cartella. Temo che la sua ricostruzione sia fallace o forse si potrebbe interpretare come atto di attacco-difesa alla richiesta di copia della cartella clinica avanzata il 3 marzo e ancora non soddisfatta. Ma di tutto questo Dott. Amodeo, eventualmente, avremo occasione di riparlarne nelle sedi opportune. Consideriamo gravi, infondate e infamanti le sue accuse e la invitiamo a riflettere sulla verità dei fatti assumendo ogni consequenziale e opportuno atteggiamento. Primo tra questi, inviare immediata smentita a tutti gli organi di stampa che ha ritenuto di coinvolgere, unitamente a lettera ufficiale di scuse. Potrebbe rappresentare un primo atto di ravvedimento”.