Coronavirus, una riflessione sulla fase 2 tra Calabria e Sicilia: quando il dopo diventa adesso
Si avvicina la Fase 2, di cui ancora non sappiamo nulla. Siamo solo certi che non riacquisteremo le nostre libertà così come le conosciamo e, purtroppo, siamo ancora più certi che neanche chi dovrebbe guidarci verso questa nuova fase sa bene cosa e come sarà. Si continua a procedere a tentoni e intanto il dopo diventa adesso, da affrontare senza piani, senza programmi e senza alcuna strategia.
Abbiamo analizzato nelle ultime settimane importanti temi, questioni di libertà e di diritti inviolabili, che, garantiti dalla Carta Costituzionale, sono stati ridotti e limitati di fronte al prevalente diritto alla salute.
Abbiamo visto un inedito susseguirsi di DPCM e ordinanze che ci hanno privato della nostra libertà e, insieme ad esse, delle nostre sicurezze.
Tutto comprensibile, perché non c’è altra scelta. Queste disposizioni devono sostituire la cura e il vaccino che ancora non sono disponibili.
Si disquisisce sulla comunicazione scomposta dei provvedimenti presi, abbiamo assistito ad un atipico susseguirsi di disposizioni, che sono intervenute di pari passo con la crescita della paura e dello sgomento. Se, da una parte, si acquisisce consapevolezza dell’emergenza, dall’altra, si possono imporre più limitazioni senza trovare alcun ostacolo, al punto che provvedimenti più stringenti vengano richiesti dal basso. Quella comunicazione istituzionale apparentemente casuale e caotica, da questa prospettiva appare piuttosto, scientificamente improvvisata.
Mentre si uniformano le restrizioni su tutto il territorio nazionale, le differenziazioni avvengono su un altro piano, quello locale, che, sulla base delle competenze in materia igienico-sanitaria, impongono nuove restrizioni, che si sovrappongono a quelle nazionali e le inaspriscono.
E la nostra Carta Costituzionale, alla base della nostra democrazia, può essere temporaneamente sospesa da tutti i livelli di governo.
Ma forse adesso arriva il momento di porsi nuove domande, almeno finché non siano messe in dubbio la libertà di opinione e di espressione.
E diventa necessario ancor di più perché non conosciamo scadenze e date. Trascorse le prime settimane, giunti al plateau dei contagi che, grazie al contenimento, sostituisce il picco, non abbiamo idea per quanto tempo ancora sarà necessario porre limiti e divieti, ma vediamo all’orizzonte la fase 2 di riapertura parziale, che sarà evidentemente contraddistinta dalla necessità di rivedere abitudini e comportamenti, reinventando le nostre vite, private e pubbliche, il nostro modo di lavorare e di svagarci, di confrontarci e di incontrarci.
Oggi interrogarsi con serietà sulla fase 2, tuttavia, è essenziale e pretendere che il nuovo percorso venga affrontato in modo strategico è un dovere. Sono maturi i tempi per spingersi un po’ oltre e accelerare sulle timide richieste della cittadinanza agli amministratori. Abbiamo un ruolo nella fase funesta che stiamo vivendo, dobbiamo avere un ruolo anche nelle fasi successive.
Va rivisitato il tema delle libertà e dei diritti, da coltivare anche in situazioni e con presupposti differenti, adattandole alla contingenza, dandogli una nuova forma, perché non sia solo un baratro della democrazia e dell’economia, ma sia un’occasione per dare nuova sostanza alle nostre vite.
Se la partita economica, che possa consentire la ripartenza, si gioca sui tavoli europei e sul tavolo del Governo, dagli amministratori locali dovremmo aspettarci una visione territoriale, un piano strategico dedicato, secondo peculiarità e caratteristiche, per una fase 2 che dia speranza e supporto ai cittadini, affrontando, con concretezza ed efficacia, problemi strutturali e problemi motivazionali, occupandosi di snellimento della burocrazia, di formazione agli operatori economici, di digitalizzazione, di sviluppo sostenibile. Perché il difficile periodo di restrizioni verso cui andiamo incontro, più o meno lungo che sia, possa essere messo a valore, con intelligente responsabilità.
L’iniziativa dovrebbe partire da chi ci rappresenta. Ma nelle nostre città, solo proclami. Idee e proposte, piani e programmi… non pervenuti.