Scilla: don Antonio Minasi fu il filosofo naturalista che il Papa Clemente XIV incaricò di scoprire i nuovi corpi naturali e le produzioni vulcaniche dell’italia Meridionale
Antonio Minasi nacque a Scilla il 20 maggio 1736 da Rocco e Nicolina Dieni. Frequentò la scuola scillese e di questa, ne restò quasi traumatizzato vedendo il rigore usato dagli insegnanti che non tolleravano nessun atteggiamento infantile degli alunni. Nel 1749, infatti, il giovane Minasi tra gli scogli di Scilla, dove era solito intrattenersi con i compagni a pescare e a nuotare, aveva raccolto una coppia di granchi vivi che mise nelle proprie tasche, mentre si accingeva ad andare a scuola. Lo stesso giorno fu interrogato in classe e fu maltrattato dal maestro, poiché vide uscire dalle sue tasche gli animaletti che scivolando sul pavimento attraversavano tutta l’aula. Egli rimase a braccia conserte per evidenziare la sua innocenza e dimostrando la sua attitudine a studiare la natura, “colpa che io non ho potuto più cancellare dalla mia mente”. Questo episodio lo segnò e da allora per tutta la vita lottò contro tutti i soprusi. Completati gli insegnamenti della scuola primaria e temprato dai maestri scillesi, passò a studiare a Reggio Calabria. Sostenuto dai genitori, studiò letteratura latina, greca ed ebraica e dimostrò una eccellente capacità di apprendimento soprattutto nelle scienze sacre e profane.Terminati gli studi, si trasferì a Napoli, dove iniziò il Corso di Scienze Filosofiche dell’Abate Genovese con notevole profitto. Proprio in questo frangente, Antonio Minasi sentì di essere attratto dalla vita religiosa e vestì il saio domenicano. Entrò a far parte del Convento di San Domenico di Soriano per applicarsi agli studi sacri. A Napoli nel 1762 si laureò in Teologia e continuò a studiare sia le lingue orientali che le scienze naturali. Nel 1763 ritornò a Reggio Calabria e studiò il prodigio della Fata Morgana osservando il fenomeno naturale nello Stretto di Messina, scrivendo un importante saggio, dal titolo “Prima Dissertazione sopra un fenomeno volgarmente detto Fata Morgana o sia apparizione di varie, successive, bizzarre immagini, che per lungo tempo ha sedotto i popoli e dato a pensare ai dotti” che fu pubblicato dieci anni dopo a Roma. Spesso, come raccontò suo cugino Mariano Bova, eccellente disegnatore ed incisore, Don Minasi passava giorni all’Ospedale degli Incurabili per assistere gli infermi e per confortarli con i Sacramenti. Nel 1764, anno della peste, rimase tre mesi nello stesso ospedale per esercitare il suo impegno sacerdotale. Nel 1771 il Minasi arricchì di dotte annotazioni “Le Deliciae Tarantinae” di Tommaso Nicola d’Aquino che furono pubblicate a Napoli. Le sue straordinarie riflessioni riguardanti la Zoologia e la Fitologia rivelarono il suo estro poetico e il suo grande spessore scientifico, tanto da essere tradotte successivamente dal poeta Giosué Carducci.
La Seconda Dissertazione fu lo studio sul comportamento del granchio paduro, pubblicato poi nel 1775 dall’illustre cugino Rocco Bova. Antonio Minasi iniziò anche interessanti esperimenti di Botanica sulle fibre della pianta “agave”. Scoprì infatti che esse avevano le stesse funzioni del papiro e ne ricavò funi, tele e merletti, oltre a trovare un modo semplice e tutto nuovo per rendere bianca, incollata e asciutta la carta da scrivere. Proseguì le ricerche e gli studi sulla città di Napoli, dove fu accolto come socio in seno alla Reale Accademia dei Borboni, pur non tralasciando mai la sua vita da religioso. L’amore per la spiritualità e la fama di filosofo naturalista affermato, anche fuori dai confini nazionali, favorirono il suo primo incarico importante e l’incontro con il Pontefice Clemente XIV, Gian Vincenzo Antonio Ganganelli, che lo nominò nel 1773 Professore di Botanica Pratica alla Sapienza di Roma, cattedra resa libera dalla morte dell’Abate Maratti, docente di Fitologia. Nello stesso anno fu anche incaricato di percorrere il Regno di Napoli e della Sicilia a spese della Camera Apostolica. Lo scopo del viaggio era di raccogliere fossili, minerali e soprattutto produzioni vulcaniche, per arricchire il nascente Museo Pio Clementino, che è il complesso più grande dei Musei Vaticani. In tale occasione, egli condusse in questi posti meravigliosi il celebre pittore olandese Guglielmo Fortuyn, con lo scopo di disegnare le più belle vedute del Regno. I due partirono con i migliori auspici e iniziarono a costeggiare il Tirreno dalle spiagge dello Stato Pontificio fino alla Sicilia. Tali vedute furono incise in rame e dopo pubblicate nelle “Novelle Letterarie” di Firenze. Queste opere d’arte furono meritatamente elogiate, specialmente quelle che mostrano l’imboccatura dello Stretto di Messina e Scilla. In una delle incisioni di Scilla, quella disegnata da Mezzogiorno vi è il primo piano dello stesso Antonio Minasi, con il saio domenicano che dirige delle operazioni di pesca. Mentre nell’altra stampa di Scilla, il Minasi indicò il percorso alle imbarcazioni per evitare i pericolosi faraglioni sotto il Castello. Il naturalista Minasi e il pittore Fortuyn conclusero lo stesso la missione annullata dalla repentina morte del Papa, il 22 settembre 1774, il quale non vide mai la raccolta di materiale dai paesaggi meridionali che aveva commissionato. Infatti i due artisti rimasero ugualmente insieme nel Regno di Napoli e, continuarono a disegnare paesaggi almeno fino al 1778, forse nella speranza che il successore, Papa Pio VI, Giovanni Angelo Braschi, potesse confermare l’incarico loro affidato. Ma, ritornato a Roma, Padre Minasi decise di interrompere la collaborazione con la Santa Sede poiché il nuovo Pontefice, non fu collaborativo e neanche interessato al progetto. Durante il viaggio furono annotate tutte le esperienze in un grosso volume, stampate 24 splendide Tavole (6 delle quali tra Scilla e Cariddi), incise e riprodotte in stampe di rame da Mariano Bova e pubblicate nelle “Novelle Letterarie” di Firenze.
Il Minasi dunque abbandonò Roma e fece ritorno a Napoli, dove difese la causa iniziata nel 1774 da 8 padroni di feluche scillesi che avevano compilato un ricorso al Re Ferdinando IV. L’istanza fu presentata presso la Regia Camera per la soppressione delle gravose tasse imposte dal loro feudatario Don Fulcone Antonio Ruffo. Don Antonio Minasi denunciò i 68 reati commessi dal Principe di Scilla coinvolgendo per questa causa altri 400 cittadini scillesi, incoraggiati dalla difesa del loro illustre cittadino. Le omissioni, le lungaggini burocratiche, i tradimenti e le vendette non portarono alle giuste rivendicazioni degli scillesi, nell’immediato. Dopo il periodo delle battaglie civili scillesi, nel 1780 Antonio Minasi realizzò l’ultima stampa del suo storico viaggio “La veduta della nobile città di Tropea e dell’antico villaggio di Paralia”, disegnato da Bernardino Rulli che fu incisa su rame da Francesco La Marra. Il terremoto del 1783 fu un avvenimento gravissimo che mise in ginocchio l’intera Calabria ed in particolare Scilla, dove più di 1500 persone persero la vita in pochi attimi durante il terribile maremoto che me scaturì, morì anche il Principe Antonio Ruffò che pagò così la sua tirannia. Lo scienziato fu inviato in Calabria da Ferdinando IV di Borbone per esaminare e studiare i luoghi colpiti dal devastante terremoto, al seguito di un gruppo dei naturalisti ed archeologi più accreditati, tra cui il cugino Rocco Bova. Ritornò a Napoli e relazionò al Sovrano l’intero studio, proponendo anche la totale abolizione del feudalesimo o almeno la diminuzione dei gravami baronali. Le richieste furono in parte accolte in alcune leggi a favore dei cittadini. Gli eventi che seguirono la rivoluzione francese portarono sconvolgimenti nel Regno e dopo una breve visita alla sua città natale ed un caloroso saluto ai familiari, si ritirò a Malta presso il convento del suo stesso ordine di appartenenza, dove morì il 25 settembre 1806, rimanendo per sempre un indimenticabile illustre scillese, paladino dei deboli, geniale poeta e poliedrico scienziato.
Enrico Pescatore