Perché a Reggio Calabria si vive, anzi si sopravvive in emergenza
Non basta l’emergenza Coronavirus che ha provocato l’emergenza economica. Perché a Reggio Calabria si vive, anzi si sopravvive in emergenza. E’ una costante l’emergenza in questa città, anche nei servizi di base al cittadino, che dovrebbero essere scontati e certi.
L’Emergenza Rifiuti, per la quale le strade sono invase dai rifiuti differenziati, indifferenziati, dai mastelli sommersi da sacchetti di ogni genere. Zone intere della città invase, odori nauseanti sotto i portoni di tutte le case, topi in agguato. Decoro urbano azzerato. E si continua a singhiozzo da anni, periodi in cui viene raccolta, periodi in cui la raccolta viene sospesa, ma la città pulita non si vede da anni. Scatta l’emergenza, che tra l’altro è anche di carattere igienico-sanitario e si trova una soluzione improvvisata e circoscritta, ma una programmazione seria, efficace e risolutiva, mai. Di chi sia la responsabilità non è dato capire. Si continua in un rimpallo di responsabilità tra Regione, Città Metropolitana, Comuni, AVR. Ma la domanda è: gli ATO, non sono di competenza della Città Metropolitana?
L’Emergenza Idrica, per cui a fasi alterne, intere aree della città restano per giorni senza acqua, perdite della rete fognaria, rubinetti a secco. Ma l’acqua è un bene prezioso ed essenziale e l’inaugurazione della Diga del Menta ci aveva fatto credere che finalmente la città non avrebbe più avuto sete…. Ma non è così. Se la gestione e l’implementazione della grande rete di distribuzione dell’acqua potabile ai comuni è di competenza della Sorical, è pur vero che le reti idriche secondarie e capillari che servono le nostre abitazioni, così come i pozzi di adduzione presenti sul territorio comunale, sono di esclusiva gestione della Città di Reggio Calabria. Evidentemente, la manutenzione ordinaria e straordinaria della rete urbana di approvvigionamento dell’acqua potabile non è sufficiente e non vi è, tra l’altro, nessuna programmazione e relativa progettazione di nuove reti idriche in sostituzione di quelle esistenti, che risultano essere vetuste, fessurate e realizzate con materiali che per loro natura, subiscono inesorabilmente la perdita delle caratteristiche fisico-meccaniche, con conseguenti rotture sulle tubazioni e disagi continui ai cittadini.
L’Emergenza Strade, Buche e Asfalto, perché veramente sembra di essere nel terzo mondo tra ginkane per evitare le voragini, ammortizzatori distrutti, pneumatici forati e indecorosa bruttura. Anche molti percorsi pedonali e marciapiedi sono seriamente danneggiati e la pavimentazione è compromessa; per non parlare delle strade urbane ed extraurbane che collegano le periferie e le contrade: sono in condizioni pessime e ai bordi cresce spontaneamente una folta vegetazione che invade le carreggiate; le canalette di scolo delle acque al margine delle strade fuori porta, diventano discariche a cielo aperto e, insieme al fogliame, ostruiscono il defluire delle acque. E tutto questo rende il senso di abbandono di una città. Non può bastare tappare una buca alla settimana e segnalare, con i cartelli e il nastro, una buca al giorno…
L’Emergenza Aeroporto, per cui ogni due, tre mesi si ripropone il problema di una paventata chiusura dell’Aeroporto dello Stretto, perché le compagnie aeree non sono interessate, perché non c’è un bacino di utenza abbastanza numeroso da essere sostenibile economicamente, perché la gestione regionale degli aeroporti calabresi punta su Lamezia e non su Reggio. Eppure, proprio i numeri ci dicono che quando c’erano i voli, c’erano anche i passeggeri. Quindi si continua a combattere per avere almeno le briciole, almeno due voli al giorno Roma e Milano, anche se ad orari assolutamente scomodi. Ma meglio di niente e comunque fino alla prossima minaccia di chiusura…
L’Emergenza Hospice, una struttura d’eccellenza che copre il diritto sanitario di base alle cure palliative, che opera con personale specializzato in un campo molto delicato anche sotto la sfera emotiva ed etica, si trova a doversi appellare ai cittadini e alla loro sensibilità, perché nessuna certezza di continuità del servizio gli è data dagli organi competenti.
L’Emergenza Lavoro e Occupazione, perché il tasso di disoccupazione è altissimo e chissà cosa ci aspetta nella fase di recessione economica post-Covid. E intanto nessun segnale arriva dalle Istituzioni, che potrebbero, ad esempio, dare impulso al comparto edile, agevolando sia i lavori privati, evadendo in tempi brevi le pratiche presentate per i condoni edilizi in sanatoria e le concessioni di costruzioni, sia i lavori pubblici, così da dare impulso all’economia, occupare centinaia di disoccupati e innescare effetti positivi per l’indotto che ruota intorno all’edilizia.
L’Emergenza Incompiute, perché quanti sono i cantieri iniziati e mai terminati, i finanziamenti avuti e mai utilizzati. Si pensi al Palazzo di Giustizia e alla realizzazione dell’attiguo parcheggio; al parcheggio multipiano ai margini di Via Vallone Petrara, che interessa l’area dell’Ospedale, perennemente carente di posti auto, con una situazione disfunzionale in termini di servizio a quanti, purtroppo, devono recarsi alla struttura sanitaria.
L’Emergenza spopolamento, perché i cervelli sono in fuga e chi vuole lavorare non trova spazio.
Potremmo continuare in questa triste elencazione, che ci priva della vita in una società civile.
Evidentemente una città in emergenza ha un problema strutturale, non è emergenza. Perché l’emergenza è, secondo il dizionario della lingua italiana, una “circostanza imprevista, accidente, una condizione di cose, momento critico, che richiede un intervento immediato”. Quindi dovrebbe essere una tantum, invece non è così, è una costante, è la nostra stabilità.
E il rischio è adattarsi ad una situazione stabile di emergenza, nella sua contraddizione in termini, di indecoro, di sopravvivenza, di mancanza assoluta di servizi essenziali, di scarsa qualità della vita. Non è la normalità, eppure lo è diventata.
A questo punto c’è da chiedersi quanto sia probabile che la situazione strutturale di emergenza, si trasformi in una emergenza umanitaria di invivibilità, di pericolosità pubblica, di aumento di conflitti sociali, ancor di più se inscritta in un quadro di reale emergenza economica a livello mondiale, come quella che stiamo vivendo, che in luoghi di tale fragilità potrebbe esplodere senza controllo.
Non è più tempo di “metterci una pezza” e della politica dell’improvvisazione. Le situazioni strutturalmente deficitarie vanno affrontate studiando il problema alla radice e trovando soluzioni di lungo periodo, anche ribaltando completamente gli stati di fatto, se non efficienti.
Non è più tempo di rimpallo di responsabilità tra le Istituzioni, perché le Istituzioni sono a servizio dei cittadini e, ognuna secondo la propria competenza, deve agire per programmare, progettare, rivedere le attività che non funzionano e seguire percorsi virtuosi che garantiscano condizioni di vita dignitose, possibilità di immaginare un futuro, obiettivi di crescita e di sviluppo.
Competenza, affidabilità, responsabilità e lungimiranza, affrontare i problemi e non eluderli, guardare al bene della collettività e non dei singoli, meritocrazia e impegno. Tutto questo forse richiede una rivoluzione culturale, che potrebbe nascere dal basso, da una cittadinanza stanca, perché quando si tocca il fondo non resta che provare a risalire, imponendo un cambiamento reale, che dall’alto non si prova neanche a realizzare.