I ragazzi del muretto

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Sono nata nel 1968 e appartengo alla generazione dei così detti  “ragazzi del muretto”. Io e la stragrande maggioranza dei miei coetanei, a differenza dei nostri genitori, non abbiamo patito nulla che ricordasse la fame, la guerra, le privazioni. Eravamo figli del boom economico degli anni 60 e addirittura molti di noi negli anni ottanta mangiavano già pane e nutella a merenda. Durante l’adolescenza eravamo soliti trascorrere le serate di primavera o d’estate seduti sui muretti.

Lì, scherzavamo, mangiavamo le nespole, ci innamoravamo, crescevamo insomma, sani puliti, col marchio D.O.C. Il timbro di fabbrica era quello, genitori piegati in due dal lavoro: contadini, muratori, commercianti, pescatori, artigiani. C’erano tutti e tutti erano uniti da uno “Spirito paesano” che in tempi di fame o di guerra li aveva resi fratelli di sangue. E fratelli di sangue eravamo anche noi, perché questa condivisione, l’avevamo assorbita col latte, senza parole, senza spiegazioni. L’avevamo assorbita “Guardando”, sì “Guardando”, perché come dice un mio grande amico di nome Franco Nembrini, “Il compito dei figli, è “Guardare.”Ora, io abito in un piccolo borgo, esattamente nella frazione di un paesino in riva allo Stretto di Messina ed ho trascorso gli ultimi anni della mia vita nelle grandi metropoli del paese. Mi sono portata dietro la pellaccia di contadinotta, eppure, di fronte al mio lavoro, alla mia persona, non ha mai riso nessuno delle mie origini contadine, anzi…. Adesso, però, dopo questo preambolo cercherò di spiegare, cosa c’entra la mia storia, i muretti, il 68 e lo spirito paesano, con quello a cui il mondo intero sta assistendo adesso e cioè lo sviluppo di una pandemia. Quello che sta vivento è ciò a cui gli uomini sono stati chiamati e cioè le restrizioni, la solitudine e l’isolamento. Nonostante tutto, comunque, gli eventi di questi ultimi tre mesi, mi hanno fatto un regalo che io da sola di mia iniziativa non mi sarei mai concessa: il tempo.

Il tempo di osservare, di riflettere, di fumare una sigaretta con i gomiti appoggiati alla ringhiera del mio balcone, che domina lo Stretto di Messina. Mi affaccio soprattutto al tramonto ed ho la possibilità di guardare, oltre, alle meravigliose pennellate della Natura, la strada.

Guardo il viottolo e osservo chi passa. Vedo rientrare dal lavoro della vigna i miei conterranei, i ragazzi del muretto e qualche genitore che è sopravvissuto agli anni ed ha fatto un baffo al tempo.

Mi vengono, allora, in mente spesso i versi di Leonardo Sinisgalli e della sua poesia “A mio padre”.

L’uomo che torna solo a tarda sera dalla vigna, scuote le rape nella vasca. Sbuca dal viottolo con la paglia macchiata di verderame”.

Pepè C., Antonio e Peppe C. la loro zia Graziella G. e molti altri, tutti, i molti che non hanno mai abbandonato la terra, pur viaggiando,  studiando,  lavorando in altri settori, qualcuno pur avendone combinate più di Bertoldo. Sono loro: “L’uomo che porta cosi fresco terriccio sulle scarpe, odore di fresca sera sui vestiti. Si ferma ad una fonte, parla con un ortolano che sradica i finocchi”. Sono queste persone che, quando la legge glielo ha consentito e si sono recati nelle vigne, mi hanno permesso di superare indenne il terribile periodo di chiusura forzata. Sono stati loro, con le zucchine lasciate al cancello, le due chiacchiere scambiate dal balcone e la loro delicatezza d’animo a non farmi mai

sentire sola. Guardando, inoltre, a queste persone faccio memoria di mio padre. Assaporando e osservando il rispetto che hanno per la terra, il lavoro e le persone con cui hanno condiviso un pezzo di muretto o le persone anziane. Sono loro: “Punti vivi all’orizzonte”. Questa finezza d’animo che li caratterizza, ha radici profonde, antiche, che si perdono nella notte dei tempi. Radici che si sono forgiate nei nostri padri, nel loro bisogno di umano. Questa finezza d’animo è viva e cammina su gambe forti. Le gambe di chi ha avuto l’intuito di “Guardare ai padri” come direbbe il mio amico Franco Nembrini. Concludo prendendo in prestito due strofe poetiche, una del grande Alfonso Gatto e una sempre Sinisgalli: “Se mi tornassi questa sera accanto”, ti direi o padre che “Sei un punto vivo all’orizzonte, un piccolo punto.” Un punto che ha le gambe della mia generazione, quella dei ragazzi del 68, quella dei ragazzi del muretto.

Graziella Tedesco

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