L’obiettivo degli esperti del Governo è quello di capire se chi fa il test è venuto in contatto con il virus e se ha sviluppato la famosa immunità. Un’indagine che potrebbe fotografare quanto il coronavirus ha realmente circolato nel Paese
Con l’inizio della fase 2, da domani in tutta Italia prenderanno il via anche i test sierologici. Le indagini si svolgeranno su un campione di 150 mila italiani (strutturato dall’Inail e dall’Istat per anagrafe, zona e censo) nei laboratori selezionati dal ministero della Salute. Ad annunciarlo è arrivato dal commissario straordinario per l’emergenza coronavirus, Domenico Arcuri, durante la conferenza stampa alla Protezione Civile. L’obiettivo degli esperti del Governo è quello di capire se chi fa il test è venuto in contatto con il virus e se ha sviluppato la famosa immunità. Un’indagine che ha lo scopo di capire quanto il virus ha realmente circolato nel Paese. “I cittadini – ha detto Arcuri – verranno contattati e verrà chiesto loro di sottoporsi al test nel laboratorio più vicino. Ovviamente lo faranno gratuitamente“. E non mancano i dubbi sull’accuratezza del test, sui possibili falsi positivi, e l’aver sviluppato l’immunità. Su quest’ultimo fronte però un nuovo studio pubblicato su ‘Nature’ ha scoperto che tutti i guariti dal coronavirus sviluppano gli anticorpi. “Il problema dei test diagnostici – ha spiegato Luca Richeldi, primario di Pneumologia della Fondazione Policlinico Gemelli Irccs di Roma e componente del Comitato tecnico-scientifico sul coronavirus, nell’ultima conferenza stampa alla Protezione civile – è che nessuno è accurato al 100%, ha una certa percentuale di falsi positivi e negativi. Si cerca di fare con il meglio che c’è. E il meglio che c’è sono alcuni test che sono arrivati in tecnica ‘Elisa’ o ‘Clia’ e sono test affidabili”. Il test cerca la presenza degli anticorpi Igm (immunoglobuline m) e Igg (immunoglobuline g), che indicano se si è sviluppata l’immunità. Ma cosa succederà se sottoponendosi al test questo rileva la presenza di anticorpi Igg per Sars-CoV-2? Sarà necessario fare il tampone? “E’ un protocollo che non c’è ancora – ha fatto notare Richeldi – ma quel test è mirato a vedere se c’è stato un contatto col virus e una risposta immunologica. Quindi non è mirato a vedere se c’è attualmente rna virale in quell’organismo. Immagino che il grande studio di sieroprevalenza che sta partendo su più di 150mila italiani con uno dei test affidabili ci darà delle risposte in questo senso”.