Il primo Frecciarossa a Reggio Calabria: riflessioni oltre la facciata
Parte da Torino alle ore 8. Arrivo alla stazione centrale di Reggio Calabria previsto per le 18.50 (salvo ritardi, s’intende). 10 ore e 50, per un tragitto di 1.266 km.
Undici ore di viaggio.
Hanno avuto il coraggio di chiamarla “alta velocità”. E qualcuno anche di festeggiare.
Avrebbero dovuto chiamarla “Alt(r)a Velocità”, forse più adeguato.
Il nuovo collegamento offerto da Trenitalia, che ha cercato con un colpo a sorpresa di replicare all’idea originaria di Italo Treni (stessa tratta dal 14 giugno ma che ha annunciato prima il servizio) ha addirittura scatenato il solito cliché di comunicati stampa, giubilo e solennità.
Si vede proprio che i calabresi in questi anni sono stati costretti a subire i trasporti con l’asino spacciati per oro. In silenzio senza una classe politica capace di battere i pugni sui tavoli romani, senza un Governo (di nessun colore) che riuscisse a comprendere quanta ingiusta differenza ci fosse tra le due Italie, quella del Nord e quella del Sud.
Torniamo al Frecciarossa (“del sole”). Permette senza cambi intermedi di giungere in Calabria, ma prima di arrivare a Paola, “stazione di Paola”, ferma a: Torino Porta Susa, Milano Centrale, Milano Rogoredo, Reggio Emilia, Bologna Centrale, Firenze Santa Maria Novella, Roma Tiburtina, Roma Termini, Napoli Afragola, Napoli Centrale, Salerno.
In Calabria, dopo Paola, anche a Lamezia Terme, Rosarno, Villa San Giovanni e, finalmente a Reggio Calabria.
Sedici fermate. Sedici.
Talmente tante che l’alt(r)a velocità è a singhiozzo. Il treno, accelera e rallenta. Accelera e rallenta. E si ferma, ad ogni angolo possibile.
Non può essere definito ad “alta velocità” un treno che per coprire il suolo del Nord, e dunque la tratta Torino-Milano-Roma impiega cinque ore e per collegare la Capitale con Reggio Calabria necessita di 5 ore e 50 minuti che sono amici di 6 ore. E non ci può essere la tanta sbandierata alta velocità per un semplice motivo: la tratta ferroviaria da Salerno a Reggio non lo consente. E’ una rete “normale” su cui la velocità massima resta quella di sempre (anche se interventi di sicurezza e potenziamento negli anni sono stati fatti).
Dunque ben vengano i collegamenti su Freccia a lunga percorrenza e senza cambi, ma non spacciamoli per alta velocità. Compiremmo l’ennesima ingiustizia ed una nuova presa in giro ai calabresi.
Che vogliono e pretendono altro, che dallo Stato esigono risposte nette: vogliono la costruzione dell’Alta Velocità, quella vera.
Quella che consentirebbe di raggiungere il nord probabilmente risparmiando almeno due ore (tagliando le fermate che anche capendo le esigenze aziendali di Trenitalia appaiono veramente esagerate e sfruttando una nuova rete dedicata all’AV), quella che realmente renderebbe parte integrante del sistema produttivo del Paese. Che oggi lascia lascia fuori la Calabria e la Sicilia, senza appelli.
Sicuramente bene il potenziamento della quantità di collegamenti: più treni, più possibilità (anche se i prezzi restano talmente alti che si potrebbe pianificare un viaggio alle Maldive) maggiore scelta. Bene la concorrenza tra compagnie, ancora meglio la notizia recentissima del possibile nuovo Freccia Rossa Venezia- Reggio Calabria che potrebbe a breve essere attivo.
Manca la qualità, quella che farebbe la differenza. Quella che per i calabresi ed i siciliani (ma in Sicilia servirebbe una vera e propria rivoluzione anche della rete ferroviaria interna che rappresenta un insulto per tutti i siciliani) sarebbe solo ed esclusivamente un diritto sacrosanto che ormai gli stessi si sono anche stancati di elemosinare. Perché di elemosina si tratta.
Ma c’è di più. Nessuno o pochi hanno notato che rispetto al pre lockdown i collegamenti Reggio – Roma e viceversa hanno subito una penalizzazione ed una regressione sia in termini quantitativi che qualitativi (cancellato il freccia argento che permetteva in 4 ore e 50 minuti di arrivare nella Capitale e sostituito con il Freccia Rossa del Sole che ne impiega 5 e 50, cioè 1 ora in più!).
Non ci potrà essere sviluppo, crescita, lavoro e “money”, (Ponte o non Ponte) senza che le ultime (solo geograficamente) due regioni d’Italia vengano trattate con rispetto e dignità.