I Moti di Reggio, una singolare protesta avvenne a Gambarie d’Aspromonte il 21 luglio 1970: il racconto attraverso le parole del rag. Pino Lucisano, allora esponente del Movimento Sociale Italiano, che fu tra i rappresentanti dell’occupazione alla sede del ripetitore RAI
Nel Luglio 1970, durante gli avvenimenti della Rivolta di Reggio, anche la Provincia è stata interessata da disordini e fermenti. Un aspetto molto importante di quei giorni, dal punto di vista giornali- stico, è stato l’errore di approccio dei mezzi di informazione nazionali nei confronti della Rivolta di Reggio, dipinta come un atto delinquenziale di pochi criminali mafiosi, fascisti e facinorosi. Anche la RAI dava pochissimo spazio agli eventi della Rivolta e sempre in modo negativo, a causa delle pressioni del governo che voleva reprimere (come poi farà, nel sangue) i moti Reggini.
A Gambarie d’Aspromonte c’è, e c’era già allora, un’importantissima antenna che dalla Lucania riceve il segnale RAI ad alta frequenza e lo trasmette in Calabria e in Sicilia: la RAI si vede in molte zone di Sicilia e Calabria grazie al ripetitore di Gambarie. Gambarie è una frazione del Comune di Santo Stefano in Aspromonte, e proprio i cittadini di Santo Stefano, che condividevano le motivazioni della Rivolta di Reggio, come un po’ tutta la Provincia, decisero in quei giorni di bloccare le trasmissioni della RAI da Gambarie con un atto dimostrativo che dava la giusta luce agli avvenimenti di Reggio con la volontà di far capire alla RAI quant’era importante e popolare ciò che a Reggio stava accadendo. Il rag. Pino Lucisano, allora esponente del Movimento Sociale Italiano, in quell’occasione ha fatto parte della rappresentanza dei “Fatti di Gambarie”. Sottoforma di intervista, rilasciata al direttore di StrettoWeb Peppe Caridi, e pubblicata sul libro “Area Metropolitana dello Stretto – Un ponte tra Reggio e Messina”, Lucisano ha raccontato le memorie di quell’episodio avvenuto il 21 luglio 1970.
Come siete arrivati alla decisione di bloccare le trasmissioni Rai?
A noi di Santo Stefano dava molto fastidio il fatto che i giornalisti Rai dicevano che la rivolta era di delinquenti fascisti e mafiosi mentre invece altri giornali erano più obiettivi, come “Il Messaggero”, “Il Tempo”, “Il Corriere della Sera”. Gaverno di allora era un governo De – Psi, un governo di centro/sinistra, i cui esponenti di spicco, Mancani, Colombo, Misasi, patteggiavano per avere il potere delle comunicazioni.
La Rivolta di Reggio era una Rivolta di popolo tanto che i comunisti strappavano le tessere di partito: oltre 10.000 militanti del Pci reggino, abbandonarono il partito in occasione della Rivolta, lasciando un vuoto nel territorio in quella parte politica, proprio perché la sinistra di allora non ha compreso le esigenze del territorio e non è stata vicina alla gente, preferendo le lobby di potere politico e le poltrone romane.
E cosa è accaduto, quindi, a Santo Stefano e Gambarie?
Il 20 Luglio 1970 a Santo Stefino, abbiamo fatto una riunione in piazza con circa 100 persone per decidere se fare qualcosa, e cosa fare: ci siamo dati appuntamento al giorno successivo ma ancora quella sera in televisione ripetevano i soliti epiteti “fascisti”, “mafiosi. “delinquenti”, facinorosi” e allora abbiamo deciso di andare a Gambarie a bloccare il ripetitore Rai che trasmette tutte le trasmissioni della Radiotelevisione Italiana in Calabria e Sicilia.
Il 21 Luglio, nel pomeriggio, il paese di Santo Stefano era tutto in fermento: io lavoravo al Comune da ragioniere e ricordo che il comandante dei carabinieri, quando aveva saputo che ci stavamo organizzando, è venuto a cercarmi in paese per dirmi: “Ma è vero che volete venire a Gambarie a bloccare le trasmissioni Rai?”. Quando gli ho detto di si, mi ha risposto che “Se verrete davvero, ci saranno pronti moschetti ad attendervi”. “Preparatevi pure, – gli ho incalzato – stiamo arritando”.
Nel primo pomeriggio, intorno alle quindici, oltre 300 persone, tra cui donne, bambini, dirigenti di banca, medici, assessori, siamo partiti da Santo Stefano e, arrivati a Mannoli, abbiamo visto una gran folla di oltre 100 persone volersi aggregare a noi.
Arrivati a Gambarie in più di 400, abbiamo percepito quanto i carabinieri, che in effetti erano li pronti, fossero sorpresi: non si sarebbero mai aspettati una tale folla di gente di ogni estrazione sociale, sesso, professione ed età.
A quel punto sono stati costretti ad ascoltare le nostre richieste, e ci hanno chiesto cosa volevamo. La nostra risposta era una sola, forte e decisa: “IL RIPETITORE DEVE INTERROMPERE LE TRASMISSIONI”. I carabinieri ci hanno detto di nominare una rappresentanza di 4 persone per poter entrare nel ripetitore e parlare con i dirigenti, e allora siamo stati designati in quattro: io e il prof. Francesco Priolo che eravamo esponenti dell’M.S.I di Santo Stefano, Fortunato Pizzi che era il segretario del Partito Comunista e Stefano Zoccali, segretario amministrativo della Democrazia Cristiana. Non avevamo né armi, né tritolo, né bastoni, né bombe: eravamo completamente “lisci”, il brigadiere dei carabinieri ha aperto il cancello, ci ha fatto entrare ed ha suonato al citofono della sala di comando.
Arrivati li dentro, il tecnico responsabile era in collegamento telefonico con i suoi superiori di Cosenza e Rema, e mi ricordo che ha detto subito: “I dimostranti sono arrivati”. Ci ha chiesto cosa volevamo, e noi gli abbiamo spiegato la situazione pretendendo il blocco del funzionamento del ripetitore. Ci ha detto che non dipendeva da lui ma che avrebbe dovuto chiamare Cosenza, da dove gli hanno risposto di chiamare Roma: non volevano prendersi responsabilità importanti e ritenevano l’argomento di alta rilevanza.
Da Roma, ci hanno chiesto: “Se non chiudiamo, cosa fate?”. Noi, a quel punto, eravamo stati presi alla sprovvista. Non eravamo pronti a fare ricatti e non avevamo preparato nulla, forse ingenuamente. Non sapevamo cosa fare, ma per fortuna il tecnico – responsabile stesso di Gambarie, al telefono, ci ha “suggerito” sottovoce: “DINAMITE. Dico DINAMITE ??” e noi subito “Si si si” e allora Roma ha deciso subito di chiudere le trasmissioni e in quel momento, davanti ai nostri occhi, sono stati chiusi i macchinari, spinti i bottoni di spegnimento, staccati i cavi.
Il ripetitore di Gambarie non stava più funzionando. Eravamo contentissimi e, trionfanti, siamo tornati tra la folla e poi a casa. Per oltre quattro ore il ripetitore non ha funzionato, fino alle venti e trenta: a Roma c’erano grandi movimenti, e il Ministro dell’Interno, Restifo, era siciliano e non voleva che la Sicilia rimanesse senza Rai: ha convocato il comandante generale dei carabinieri e ha imposto che, entro la serata, il ripetitore avrebbe dovuto riprendere a funzionare.
Al tempo stesso, oltre 200 “caschi blu” dell’esercito sono partiti da Vibo Valentia per venire a contrastarci, e ne sono partiti cosi tanti, divisi in diverse squadriglie, perché avevano addirittura paura di attacchi dinamitardi nel corso della strada!! Era assurdo quello che pensavano di noi, che non volevamo assolutamente la violenza!!! In quel momento abbiamo capito che anche a Reggio le cose erano andate cosi e che anche i Reggini non avevano fatto nulla di male e si sono ritrovati con l’esercito e i carri armati in città senza alcun motivo. Davvero pazzesco! A Santo Stefano, comunque, quando ci siamo accorti la sera che la televisione funzionava di nuovo, abbiamo fatto un’altra riunione in piazza, e verso le ventitre della stessa sera, in oltre 200, siamo tornati a Gambarie al ripetitore. Li c’erano i “caschi blu” dell’esercito ad aspettarci anche se abbiamo avuto solo qualche scontro verbale. Non volevamo recare danno a nessuno, e comunque anche se quella sera siamo dovuti tornare a casa delusi perché impotenti contro le forze militari che ci avevamo promesso l’uso delle mitragliette se non fossimo tornati “a letto” (come se fossimo bambini di 4 anni) l’episodio di Gambarie ha avuto un’importantissima risonanza nazionale: l’interruzione del servizio pubblico di comunicazione, solitamente, avviene nei colpi di stato!! Quella sera stessa il Maggiore dei Carabinieri Tommaso Stellitani ci ha comunicato che noi quattro della rappresentanza eravamo già con il mandato di cattura “addosso” per aver violato l’art. 110 del codice penale “adunata sediziosa con scopi mafiosi formata da cinque e più persone e violenza privata”, insomma un’ingiustizia enorme poiché hanno dovuto aggiungere un soggetto inventato affinché arrivassero a cinque individui, accusandoci di essere mafiosi e di aver utilizzato la violenza, cosa che non avevamo mai fatto.
Gli oltraggi di quel governo sono stati incredibili contro questo territorio, degni di un violento regime dittatoriale. Dopo tre giorni, alle tre di notte, sono arrivati nelle nostre abitazioni e hanno arrestato me, Priolo e Pizzi, mentre Zoccali era riuscito a scappare ed è stato a lungo tempo latitante.
In nottata ci hanno portato alla caserma Caccamo di Reggio e alle sei del mattino successivo, al carcere di San Pietro, sempre a Reggio. Li dentro eravamo in una cella collegata con un’altra in cui c’erano 15-20 detenuti per la Rivolta di Reggio, tutta gente che, come noi, non aveva fatto nulla di male. Dopo 13 giorni da incubo, in carcere, siamo usciti alle quattordici del 5 Agosto, tornando a casa, abbiamo trovato tutta Santo Stefano che ci aspettava. Da quel omento, però, eravamo “sotto sorveglianza speciale” e ogni volta che ci muovevamo da Santo Stefano dovevamo andare in questura a firmare. Nel Marzo 1981, in una gelida e nervosissima giornata invernale, a Potenza, ci hanno fatto la causa e siamo stati completamente assolti, dopo 11 anni. Ancora oggi, però, continuano i soprusi da parte di Cosenza e Catanzaro nei confronti di Reggio.