I Moti di Reggio, 50 anni dopo – Il diario della rivolta, 18 luglio 1970: il corteo per i funerali del ferroviere Labate e la Questura data alle fiamme

StrettoWeb

I Moti di Reggio 50 anni dopo e lo speciale di StrettoWeb, il racconto del 18 luglio 1970: il funerale del ferroviere Bruno Labate, l’assalto alla Questura e al Catasto edilizio in viale Amendola, mentre in tutta la città si innalzano ancora barricate

Il 18 luglio 1970 si svolgono i funerali del ferroviere Bruno Labate, diventato uno dei simboli dei Moti, a cui partecipa tutta la città. Nel primo pomeriggio riprendono violentemente le proteste e viene presa d’assalto il palazzo della Questura ma, su ordine del Questore, la Polizia questa volta non risponde ai manifestanti. Grazie alla ricostruzione del libro “Buio a Reggio” scritto da Luigi MalafarinaFranco Bruno e Santo Strati nel 1972 e pubblicato da Parallelo 38, riviviamo su StrettoWeb gli eventi quei drammatici giorni vissuti a Reggio Calabria:

Così Gaetano Greco-Naccarato sul Corriere d’Informazione:
Il malessere che affligge da anni la città di Reggio è esploso con barricate, blocchi, assalti. Conseguenze: molti feriti da una parte e dall’altra, un morto e tantissimi danni…
«Nell’hinterland reggino non mancano né le braccia né l’intelligenza. Ma quando esse vengono mediocremente rappresentate da una classe dirigente locale non sempre all’altezza dei propri compiti e quando il potere centrale diventa così poco ricettivo agli avvertimenti e ai danni che i calabresi responsabili vanno suonando non da oggi ma da decenni, non ci si deve poi troppo meravigliare se in aree così depresse sorge un fenomeno mafioso come quello che ha preso salde radici nel Reggino oppure se un bel giorno la città intera perde le staffe, trasformando quella che avrebbe potuto essere una incisiva manifestazione democratica di protesta (lo sciopero generale dell’intera provincia) in una vera e propria rivolta di vaste proporzioni, dove gli clementi più deteriori della società regionale hanno avuto facile gioco nel dar sfogo a due detestabili sentimenti: l’anarchia e il campanilismo settario.
«Ma sullo sfondo dell’odierno dramma reggino non v’è dubbio che aleggia come una cappa di piombo il triste fenomeno dell’emigrazione con il suo cammino della speranza. Melissa, Avola, Battipaglia, Caserta, Pescara ed oggi Reggio Calabria, pur con diverse sfumature e differenziazioni, sono tutti sintomi di una situazione generale ancora da risolvere malgrado i pur apprezzabili sforzi sin qui fatti. La gente è stanca di emigrare di elemosinare una occupazione o altrove. Il problema principe resta quello delle forze di lavoro. E se dieci, quindici anni fa era facile osservare che senza infrastrutture primarie sarebbe stato difficile avviare un decollo industriale, oggi questi discorsi non reggono più perché l’intero territorio del Mezzogiorno è stato investito da gigantesche opere pubbliche che sono sempre alla luce del sole e che nel loro insieme giustificano le attese sempre più pressanti delle popolazioni.
«Ad aggravare la situazione c’è il vuoto di governo e c’è la pesante situazione economica e finanziaria del paese. Noi ci auguriamo che il buon senso prevalga un po’ in tutte le sedi. Sarebbe veramente amaro se gli investimenti industriali recentemente programmati per Mezzogiorno… subissero una nuova battuta d’arresto per mancanze di disponibilità finanziaria. In tal caso le prospettive sarebbero quante meno poco rosee. Ogni attesa ha un limite trascorso il quale l’orizzonte diventa buio».

Mariano Messina sul Giornale di Sicilia:
Questa mattina la città dava l’impressione di essere uscita da un tornado californiano. I danni causati dai caroselli della polizia dal lancio dei sassi dei dimostranti e da altri mezzi di offesa sono ingenti e fare un consuntivo, ora, sarebbe impossibile, tanto più che la calma non è ancora ristabilita. «Bisogna mettere in evidenza però che nessuna azione criminosa è stata compiuta, là dove sono stati rotti i vetri dei magazzini. La merce esposta – anche di valore rilevante è a portata di mano di tutti ma nessuno la tocca. Questo sta a dimostrare che la reazione a Reggio è reazione a un provvedimento politico e nulla ha da vedere con atti di comune criminalità».

Dice sulla Pravda una nota Tass:
«I fascisti estendono le loro azioni. La situazione politica italiana. a due settimane dall’apertura della crisi di governo, permane alquanto complessa. A chi serve questo spargimento di sangue provocato in piena crisi di governo? Chi ha sfruttato il malcontento di una parte degli abitanti di Reggio Calabria per i propri scopi politici reconditi?».

Le condizioni generali di Antonio Coppola, il diciassettenne ricoverato ieri al nosocomio dei «Riuniti», vanno a ristabilirsi sensibilmente. Durante la notte, il giovane, al cui capezzale sono il padre Giuseppe e la madre, Grazia Paino, è migliorato e stamane i sanitari del reparto oculistico gli possono medicare l’occhio contuso. Il giovane, al momento del ricovero in ospedale, ha dichiarato di esser rimasto ferito durante i disordini. Nella mattinata si era sparsa la voce che il giovane fosse morto, ma questa notizia allarmistica viene smentita.

Verso le ore 10, come già annunciato, hanno luogo i funerali di Bruno Labate. Dopo il rito religioso, celebrato nella Chiesa del S. Salvatore, in via Cardinale Portanova, il corteo si snoda attraverso il Corso, passa per piazza Duomo, via Crocifisso e quindi il feretro viene portato al cimitero di Condera.
Il corteo, attraverso le vie principali della città, è stato fermamente voluto dai reggini e l’ordine pubblico, come richiesto dai familiari del Labate, viene mantenuto dai vigili urbani.

Scrive su il Resto del Carlino Livio Pesce:
«Si procede in un silenzio irreale, sotto il sole di mezzogiorno, attraverso la città. Operatori della «tivù» tedesca, della Bbc inglese e di altre televisioni straniere riprendono la scena. Della nostra Rai non c’è nessuno, non c’è mai stato nessuno in tutti questi giorni girare e descrivere uno degli eventi più drammatici della nostra vita nazionale. E anche questo acuisce la rabbia degli abitanti di Reggio».
«Si va avanti così per un’ora. Il corteo supera senza incidenti piazza Italia (dove sono schierati solo carabinieri)… In piazza Duomo, a due passi dalla questura, c’è il capitano Fedele Stanga, al comando di una compagnia di carabinieri schierata su due file. Al vederli, la folla rumoreggia. Il capitano ordina l’attenti e scatta nel saluto militare, rendendo omaggio alla salma. La folla si accalca intorno, sfiora l’ufficiale sempre immobile, quasi lo investe, poi si ferma ed esplode in un lungo commosso applauso. Questa è ancora l’Italia di De Amicis…».

In Chiesa ha parlato uno dei vicari dell’Arcivescovo, assente per ragioni personali, don Italo Calabrò. Dopo la lettura del Vangelo secondo Matteo, col discorso della montagna sui «beati i poveri di spirito», don Calabrò si è rivolto al morto, lo ha chiamato «fratello Bruno», gli ha detto che tutta Reggio è intorno alla sua «spoglia martoriata».

Si legge in un corsivo di Gazzetta del Sud:
«Non era militante in nessun partito politico – dice un ferroviere che ha le lacrime agli occhi – ed era un reggino purosangue che era sempre interessato con entusiasmo ai problemi della nostra città. Credeva nel ruolo di Reggio capoluogo della regione. Era sempre sorridente e trascorreva le sue giornate sui treni o dedicandole alla Sua famiglia. Era molto affezionato al figlio Antonino, di cui parlava sempre; voleva farne un professionista. Un crudele destino l’ha strappato ai suoi cari. E’ un grave lutto per la grande famiglia dei ferrovieri.
«Raggiungiamo la modesta e decorosa casa dei Labate a Tremulini. Una folla di persone è assiepata dinanzi la porta. Quasi nessuno parla; tutti tengono gli occhi bassi, i più intimi cercano di confortare Ada Nicolò, la vedova del frenatore. II dolore ha scavato nel volto un solco profondo. Non riesce quasi più a piangere»-
Bruno era uscito ieri sera per recarsi in centro – dice la donna con voce fievole – mi aveva promesso che sarebbe ritornato presto e che dovevo stare tranquilla. Non è più ritornato. Poi mi hanno detto che cosa era successo. Ora so soltanto che non rivedrò più il mi Bruno».
Antonino Labate non è a casa. I parenti gli hanno voluto risparmiare questa visione di dolore. Chiama sempre il padre. Vuole sapere quando torna».
«Lo ricorderò sempre – dice un vicino di casa – sempre con il sorriso sulle labbra, gentile con tutti, premuroso in caso di bisogno».
«Era un uomo buono e profondamente onesto, Bruno Labate, come dicono in coro tutti quelli che lo avevano conosciuto e stimato per le sue doti di onesto lavoratore e buon padre di famiglia. Tutta la cittadinanza adesso lo piange».

Ancora Gazzetta del Sud:
«Il giorno dei funerali, una folla immensa ha accompagnato il ferroviere Bruno Labate all’ultima dimora. Ma oltre alle migliaia di cittadini che hanno seguito il feretro portato a spalla, a turno, da compagni di lavoro, operai, studenti, professionisti, tutto il resto della popolazione è stato presente ai funerali di un cittadino che ha pagato con la vita il suo amore per la città. Chi temeva disordini è stato smentito… La compostezza dei reggini è stata esemplare. La memoria di Bruno Labate non poteva essere onorata meglio… Ai balconi, lungo l’intero percorso drappi di vario colore: un modo per testimoniare la propria partecipazione al lutto cittadino. Con i drappi, i fiori che cadevano al passaggio del feretro… Fin dalle primissime ore del mattino la gente ha cominciato ad affluire in via Portanova. La chiesa non poteva contenerli tutti. C’erano i parlamentari, consiglieri comunali, regionali e provinciali, esponenti dei partiti e tante, tante corone di fiori, inviate da uomini politici, amministratori, enti, associazioni, organizzazioni sindacali. Qualcuno ha bruciato quelle del Prefetto e del PCI».

All’imbocco di via Crocifisso il Sindaco commemora Bruno Labate, sottolineando che la sua figura «entrata nelle pagine della storia di Reggio, non sarà dimenticata» e conclude con un invito alla moderazione e alla calma.

Ore 13,20 – Il feretro è appena passato per piazza Duomo che centinaia di persone si dirigono in via Tommaso Gulli e iniziano una fitta sassaiola contro i poliziotti attestati nei pressi della Questura.
L’opera di persuasione dei vigili urbani riesce a bloccare i dimostranti, convincendoli ad allontanarsi, affinché il funerale prosegua regolarmente.

Non passano dieci minuti che una nuova sassaiola, accompagnata da lancio di bottiglie molotov si abbatte contro le finestre del corpo di guardia e della II e V divisione. Viene subito chiuso il portone principale, mentre gli infissi prendono fuoco.
All’interno della questura si provvede a trasportare le persone fermate ai piani superiori e al trasferimento del materiale esplosivo. I dimostranti, intanto, appiccano fuoco a un furgone, a una «Giulietta» della Volante centrale, che viene rovesciata in mezzo alla carreggiata, all’utilitaria del brigadiere Mondo, danneggiando la «124» del commissario dottor Antonio Cappelli di Cosenza, e la moto dell’appuntato Milella.

Il Questore ordina ai quattrocento agenti della Celere di Roma, di Foggia, Bari, Taranto, Messina, Catania e Vibo Valentia che presidiano il palazzo, di non rispondere.
«Possono bruciarci vivi – dichiara ai giornalisti il questore Santillo – ma noi non rispondiamo. Evacueremo l’edificio, se necessario, ma non spareremo un colpo. Sentiamo la responsabilità di una situazione gravissima, ma noi vogliamo pace con questa gente. Sono pronto a rimetterci la carriera, ma ora bisogna resistere con i nervi saldi».

Le sorti della questura sono così nelle mani dei dimostranti, i quali, dopo aver visto svilupparsi l’incendio, si allontanano a gruppetti senza essere fermati dalla polizia».
Gli agenti, invece, si prodigano a domare le fiamme che divampano all’interno degli uffici e che minacciano di causare una esplosione se dovessero raggiungere il deposito di munizioni.
L’incendio, col successivo intervento dei vigili del fuoco, viene spento e la calma ritorna in via dei Correttori. È la prima volta che una Questura italiana viene assaltata e data alle fiamme.
L’aria è appestata dall’acre odore di benzina delle bottiglie molotov esplose sugli automezzi e degli stracci imbevuti di carburante lanciati contro le vetture o contro le finestre della questura. Le molotov hanno provocato danni all’arredamento della V sezione e delle camere di sicurezza, mentre numerose pratiche di procedimenti in corso, che si trovavano sui tavoli, sono andate distrutte.

Mariano Messina nota sul Giornale di Sicilia:
«La furia umana si è placata dopo l’assalto e l’incendio. Quando, una trentina di persone sono penetrate nello stabile della Questura, senza incontrare resistenza da parte degli agenti di PS schierati davanti all’edificio, i dimostranti hanno spontaneamente desistito dal portare al termine il disegno di distruzione. La saggia decisione del questore di non fare intervenire la polizia è servita a riportare l’ordine a Reggio. Sarebbe bastato che un solo agente avesse accennato un segno di reazione, perché l’odio che la popolazione nutre contro la polizia, esplodesse con violenza».

Sono sempre chiusi e in mano ai dimostranti i popolosi rioni di Sbarre e S. Caterina. Anche l’autostrada è presidiata da «commandos». La polizia resta per tutta la giornata nei suoi acquartieramenti.

Scrive Gazzetta del Sud:
«A difesa delle barricate erette di nuovo a S. Caterina e sul ponte S. Pietro, c’erano questa mattina anche donne e bambini. Le loro istanze per un domani migliore devono essere accolte dal Governo che non può più continuare a ignorare cosa sta accadendo da cinque giorni in questa città tanto tormentata».

A notte alcuni dimostranti appiccano il fuoco a una finestra del Catasto edilizio, ubicato in viale Amendola. Bruciacchiati gli infissi e delle carte.

Rileva Domenico Bartoli in un editoriale su La Nazione:
«Il regionalismo ha dato nuova forza al fuoco, già divampante, del municipalismo. Lo si è visto a Pescara, lo si vede a Reggio. Il sentimento nazionale ha certo valore di fronte agli estranei, ai forestieri ma non impedisce le faide comunali, anzi le moltiplica, quando si tratta di scegliere una capitale. Allo stesso modo, il sentimento nazionale non è un ostacolo o un antidoto contro l’attaccamento sfrenato alla propria città o regione… ».
«Sono cose che avvengono specialmente nei paesi meno avanzati, dove le lotte sociali si trasformano spesso in risse di campanile, e la presenza di una piccola capitale, con suoi clienti, i suoi frequentatori obbligati, mentre soddisfa il piccolo orgoglio locale, offre un certo stimolo al consumo, all’attività economica della città prescelta..».

«Quando scarseggia l’autonoma formazione della ricchezza, lo Stato, il comune, la provincia e ora la regione diventano le industrie del luogo. Poco importa che siano, per una larga parte parassitarie. Basta che forniscano impieghi e garantiscano pensioni, e diano impulso, tutto intorno, a una serie di iniziative minori, dal negozio di alimentari al piccolo albergo, dalla trattoria al cinematografo, dal caffè al parrucchiere…».

« … l’attività economica di Reggio tende a languire. E in Calabria, suoi uffici, i suoi impiegati, i corre il pericolo di rimanere ancora più indietro delle altre due province e città. Tra l’agricoltura che decade, il turismo che resta ancora esiguo, l’industria che non sorge, o che, quando sorge, non riesce ad affermarsi, e spesso fallisce, l’emigrazione al nord o all’estero rimane l’unica via aperta al progresso individuale».
«La violenza non si giustifica in nessun modo, naturalmente… come al solito, è stupida e cieca. Ed è, questa volta, come a Caserta e in parte anche a Battipaglia, una violenza diversa da quella che talvolta divampa nei centri industriali del nord: vagamente anarcoide, ma approvata, o quasi, nei suoi motivi, o come reazione alle pretese durezze della polizia, dalle autorità municipali di parte democristiana e perfino da quelle ecclesiastiche. Si ha l’impressione che gli agitatori appartengano a partiti moderati, o votino per essi…».

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