I Moti di Reggio, 50 anni dopo – Il diario della rivolta, 23 luglio 1970: torna la calma dopo nove giorni drammatici

StrettoWeb

I Moti di Reggio 50 anni dopo e lo speciale di StrettoWeb, il racconto del 23 luglio 1970

La città ritrova un minimo di tranquillità dopo nove giornate di profonda protesta. Soltanto gli agenti della Polfer si trovano a disinnescare in diversi punti della città alcuni candelotti di dinamite piazzati dai manifestanti. Grazie alla ricostruzione del libro “Buio a Reggio” scritto da Luigi MalafarinaFranco Bruno e Santo Strati nel 1972 e pubblicato da Parallelo 38, riviviamo su StrettoWeb gli eventi di quel 23 luglio 1970 vissuto a Reggio Calabria:

La città riprende il suo normale ritmo di vita dopo nove drammatiche giornate. Tutti i negozi, i bar, gli uffici pubblici e previdenziali sono aperti. Anche il traffico può svolgersi in maniera soddisfacente.
L’Amministrazione comunale, dispone la rimozione delle barricate e dei blocchi che durante le «cinque giornate» particolarmente «calde» hanno praticamente bloccato la circolazione in città. Squadre di operai entrano in azione nei vari rioni e senza concedersi soste lavorano per tutto il giorno.
Anche i servizi dell’A.M.A. ritornano a funzionare lungo tutte le linee.
La calma più completa, mentre sulla città torna ad affacciarsi l’ombra del tritolo che, già nei giorni scorsi, ha seminato paura e devastazioni.
Quindici candelotti di gelignite innescati con una miccia lunga due metri vengono trovati sotto un traliccio della linea aerea lungo la ferrovia tra Reggio e Villa S. Giovanni. Cinque centimetri della miccia erano bruciacchiati.
I candelotti e la miccia erano stati notati da un sorvegliante delle ferrovie che avvertiva l’agente della Polfer Giuseppe Coppolino; l’ordigno veniva subito reso inoffensivo.

Alle ore 19, sempre nei pressi di Pezzo, ignoti collocano dieci candelotti sulla linea ferrata e danno fuoco alla miccia. Fortunatamente il fumo viene notato da due agenti della Polfer, Scalia e Sapienza, addetti alla sorveglianza della linea ferrata, i quali accorrono e strappano la miccia impedendo la deflagrazione.
Ancora di scena un ordigno esplosivo, poco dopo le ore 22, questa volta in pieno centro cittadino: l’appuntato di PS Antonio Germani percorre la via Marina Alta e giunto nei pressi della prefettura nota due giovani che, accosciati tra le aiuole, di fronte al palazzo del Governo, armeggiano attorno ad un oggetto dal quale parte una miccia lunga un paio di metri. Alla vista dell’appuntato, i due giovani fuggono a bordo di una motoretta. Il graduato disinnesca la bomba e l’inseguimento successivo non dà esito alcuno.
La giornata è caratterizzata da un’intensa attività dei partiti, dei sindacati e dei vari comitati. Fra l’altro, la Uil chiede alla civica Amministrazione l’assunzione della vedova di Labate.
L’ing. Rocco Zoccali, a nome del Comitato di salute pubblica, invia un telegramma al Presidente dell’Ordine degli avvocati, Romano, perché l’Ordine voglia assumere con urgenza la gratuita difesa dei detenuti per le manifestazioni popolari per il capoluogo allo scopo di ottenere l’immediata scarcerazione.

Le segreterie provinciali della DC, del PSU e del PRI votano un documento congiunto, dove tra l’altro è detto: «alla luce degli eventi verificatisi in queste giornate di lotta unitaria cittadina e dei primi risultati ottenuti, rivendicano l’iniziativa, assieme alla Civica amministrazione ai loro parlamentari ed ai consiglieri regionali per la difesa degli interessi e della sua provincia; evidenziano come alle iniziative sempre ispirate e condotte con visione democratica e ferma volontà politica, abbia dato la sua adesione la cittadinanza tutta superando divisioni e barriere politiche fino ad assumere una dimensione corale».

La Presidenza provinciale delle Acli rende noto un documento col quale le Acli solidarizzano «con quanti si battono per la difesa del diritto di Reggio a capoluogo della Calabria; non ne fanno, però, una questione di vita o di morte, consapevoli come sono, per il realismo che li distingue, che l’attribuzione del capoluogo da sola non risolverebbe i problemi, pur vecchi e mai soluti, della disoccupazione, della sottoccupazione, dell’emigrazione, della povertà sociologica e culturale e di ogni altra forma di arretratezza e di sfruttamento della provincia.
«In questo quadro – continua il documento delle Acli – le Acli denunciano le responsabilità dei gruppi parlamentari, dei dirigenti di partito e di tutte le altre espressioni della classe dirigente calabrese in genere e, soprattutto, reggina. Il malcostume politico instaurato dalla massiccia consorteria democristiana che trova la sua forte ispiratrice ed il suo più valido sostegno in ben individuati notabili catanzaresi; il gruppo regionale socialista che esprime la più sconcertante forma politica clientelare che si sia avuta nel Mezzogiorno dopo l’unità d’Italia, dinanzi alla quale il giolittismo impallidisce, e che trova fulcro e spregiudicata tutela nel cosentino; l’isola socialdemocratica che si annida nelle zone della provincia reggina, svolgendo un’opera di recupero di tutti i residuati fascisti e liberal-borghesi, sono le principali cause del processo di deterioramento del tessuto sociale della nostra tormentata regione. Tali forze, in realtà, hanno espresso in Parlamento e nelle amministrazioni locali rappresentanti i quali quasi mai sono scaturiti da una saldatura organica con i ceti popolari e le classi lavoratrici, essendo invece enucleati attraverso compromessi e manovre, frutto di interessi oligarchici e di ristretti gruppi di potere.
«In questa realtà affonda le sue radici, prossime e remote, la sommossa reggina, che è una evidente dimostrazione della sfiducia del popolo verso i suoi rappresentanti a tutti i livelli: un momento esaltante di democrazia diretta e partecipativa, in cui, forse per la prima volta, la comunità civile ha preso coscienza della titolarità del suo potere».
«Questa presenza diretta ed immediata delle forze Sociali è stata caratterizzata – occorre sottolinearlo con particolare vigore – dalla lotta dei giovani e della classe lavoratrice: le due espressioni di punta del movimento rinnovativo dell’odierna società».
In tale contesto, i sindacati hanno dato lezione a tutte le forze politiche ed all’intera opinione pubblica nazionale per la loro posizione di responsabilità nella chiarezza e di equilibrio nell’azione. Essi, senza cedere a tentazioni di infantilismo anarcoide o di rivendicazioni campanilistiche, hanno duramente denunciato le responsabilità per esasperazione delle masse popolari reggine e calabresi, tuttora mortificate nelle loro più legittime richieste».

La Presidenza delle Acli, infine, dopo aver «esaltato il ruolo del popolo reggino, ha condannato la follia auto distruttiva dovuta all’intrusione di non pochi elementi che hanno causato danni alle persone e alle cose e, unendosi a tutte le voci responsabili che hanno rivolto pressanti inviti al ritorno alla normalità e alla ripresa di una fervida vita cittadina, ha auspicato un rinnovamento radicale dei quadri politici parlamentari, regionali, provinciali e comunali, ed una attivazione politica di base che, sprigionandosi dall’iniziativa di larghi strati popolari, resta l’indicazione di fondo per l’inaugurazione di una nuova era nella storia politica e sociale di Reggio e della Calabria tutta».

Il capogruppo consiliare del PSI, avv. Carlo Curatola, dichiara, dopo gli accordi romani: «I socialisti sono stati parte determinante ad avviare in termini concreti e realistici la vertenza che ha visto un’intera città in agitazione. E’ grazie al vero senso di responsabilità di noi socialisti che i complessi problemi dello sviluppo della regione hanno trovato un inizio di soluzione nella sede più competente, cioè in quella politica. La lotta di piazza è servita indubbiamente a costringere i democristiani ad uscire allo scoperto e accettare finalmente il dialogo con le forze politiche del centro-sinistra, a cui erano stati più volte invitati dai socialisti e con proterva sicumera altrettante volte disatteso».

A S. Stefano d’Aspromonte i carabinieri arrestano tre persone: Fortunato Pizzi, Giuseppe Lucisano e Francesco Giuseppe Priolo, i quali sono accusati di violenza privata nei confronti di un dipendente della Rai-TV e per aver interrotto per alcune ore le trasmissioni radio-televisive, (l’arresto è in relazione con l’episodio di lunedì scorso, quando un gruppo di cittadini di S. Stefano hanno chiesto ed ottenuto che fino alle 21,30 fosse interrotta dal ripetitore di Gambarie la diffusione dei programmi televisivi).

Dice Nino Badano su Il Tempo:
«… dopo tre giorni di rivoluzione a Reggio, solo la polizia ha avuto feriti e danni… Di questo soprattutto si gloriano le nostra autorità, di aver saputo fare in modo che le violenze finissero per stanchezza dei facinorosi. Tutto questo sarebbe ancora comprensibile se le devastazioni di Reggio. avessero qualche giustificazione almeno psicologica, se non razionale o morale. Ma questo non è».
«Non vengano a raccontarci, certi inviati piagnoni e tartufi, che si è trattato di un’esplosione di collera popolare, spiegabile con l’amarezza per le attese sempre deluse del Sud. La collera popolare non erige in pochi minuti barricate ingegnose e razionali; non confeziona bombe molotoy e ordigni esplosivi potenti, e non li dissemina sulle strade ferrate; non brucia caserme, stazioni e treni come insegnano invece i manuali della guerriglia. La realtà è che come gli scioperi, così i disordini, dai sabotaggi nelle acciaierie alle distruzioni ferroviarie, dagli assalti alla polizia ai roghi di macchine nelle strade, tutto in Italia ha una firma d’autore; su tutto si possono rilevare le impronte digitali di un partito, quinta colonna del nemico… ».

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