L’ultima generazione dei bracieri

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“Appartengo all’ultima generazione dei bracieri”, così mi disse mio nipote acquisito Massimo quando lo conobbi per la prima volta. Dopo questa dichiarazione, non so perché ma guardai sempre sto ragazzotto che entrava a far parte della nostra famiglia di buon occhio.

“La generazione dei bracieri “a cui io appartengo e a quanto pare anche mio nipote Massimo, è quella fetta, molto ampia, di persone che da ragazzi ascoltavano i racconti dei vecchi davanti ai bracieri nei freddi pomeriggi d’inverno.

Non è preistoria quella che sto narrando ma è storia di una trentina o quarantina di anni fa quando le viuzze dei paeselli erano vivi, fatti di vita e sangue che scorreva nelle vene. Non erano pulsanti solo di gioventù e bambini ma batteva anche il cuore ed il sangue dei vecchietti, i quali, “allora”, erano linfa vitale da cui tutti attingevano.

Nel quartiere che in fondo rappresentava il prototipo di tutti i quartieri del paese, nei caldi pomeriggi d’estate dopo la pennichella pomeridiana, si mettevano le sedie di corda fuori dalla porta e ci si sedeva lì a chiacchierare con i vicini. Orde di ragazzini, non correvano ma volavano davanti alle comari alzando un nuvolo di polvere e loro con voci stridule una botta di “A nuci ru coddu” la mollavano senza remore. Gli uomini che tornavano dalle vigne, facevano capannello seduti sui muretti e i giovanotti facevano qualche scherzo goliardico ridendosela di cuore. Nessuno aggrediva nessuno né verbalmente né fisicamente, il peggio che potesse volare oltre “A Nuci ru coddu” era “Scurnacciatu tu e to pactri”. Nei freddi pomeriggi d’inverno, i vecchietti preparavano il braciere e lo sistemavano nella conca e noi bambini andavamo tutti a sederci intorno a questo accessorio di legno circolare per riscaldarci per ascoltare Comare Nata e compare Peppe; loro tra tutti i vecchietti del paese erano i più loquaci e i più propensi a raccontare “I fatti Vecchi”. Comare Nata era una un’amazzone piegata un po’ dal peso degli anni, aveva i capelli grigi legati con una treccia circolare dietro la nuca, vestiva spesso di scuro e negli ultimi anni camminava appoggiandosi ad un bastone. Questa amazzone ormai vecchia, firmava con la croce ma era dotata di una intelligenza che se valutata adesso avrebbe totalizzato 160 su 100. Era saggia e arguta e avendo vissuto due guerre mondiali ed un terremoto devastante come quello del 1908, di acqua sotto i ponti ne aveva visto passare. Questa fantastica vecchietta al mattino raccoglieva i panni che aveva steso fuori soprattutto i pantaloni e le maglie della salute del marito, asciutti e prontamente cuciti nelle estremità da noi ragazzi la sera prima. Comare Nata intuiva che qualcosa non andava perché ci vedeva andare su e giù all’alba, lei sorrideva strizzando gli occhi e porgeva i vestiti al marito, il quale dopo 10 minuti di vani tentativi nell’indossare i pantaloni, intuito lo scherzo compare Peppe cominciava a sbraitare: “Scurnacchiati vui e i vostri pactri”. “Comu vi pigghiu, vi tagghiu i ricchi”. “Nata Riri?” “Ririci sta filarata i buttuni”. Seguiva puntualmente una secchiata d’acqua e il meno veloce di noi doveva tornare a casa a cambiarsi e a ricevere una scozzettata sulla nuca da uno dei genitori per lo scherzo fatto ai due miti del paese. Era questa la vita, la sera però ci presentavamo in gruppo dai due vecchietti che ci facevano entrare, ci facevano sedere intorno alla conca e raccontavano i fatti vecchi. Commare Nata, non ci raccontava della storia ufficiale, quella scritta sui libri di scuola. Nulla sapeva lei del Piano Marschall o del Patto d’acciaio. Conosceva però i bombardamenti, la fame, la morte sotto le macerie, le mutilazioni. Ci raccontava degli Americani che sostavano nei giardini e delle ragazze che gli adulti del paese nascondevano nei rifugi per evitare che questo esercito affamato le rovinasse. Commare Nata conosceva l’Inglese, glielo aveva insegnato suo padre che era stato emigrante in America e quando gli Americani parlavano tra di loro progettando qualche misfatto, lei li capiva e li anticipava. La notte prima che succedessero le malefatte lei agiva, con l’aiuto di suo padre e degli uomini del paese, insieme nascondevano le ragazze e i viveri. Nascondevano tutto, salvando il paese dal dolore e dalla fame. Questa era la Storia che ci raccontavano Comare Nata. Tutti ricorrevano ai consigli di questa donna, la quale in tempi di fame, la notte, si vestiva da uomo e con il fucile in spalla andava a vegliare il giardino e il raccolto, per evitare che malintenzionati facessero razzia di tutto. Questi erano i racconti di cui ci nutrivamo noi ragazzi. Compare Peppe era anagraficamente più giovane di una decinna d’anni della moglie. L’uomo era caratterizzato da una bella figura estetica, alto, con gli occhi verdi, il baffo sottile, il volto tondeggiante e regolare; era di natura iraconda ma di indole buona, indossava sempre la maglia della salute, d’estate e di inverno. D estate la alzava sopra la pancia e sbuffava dal caldo, ma nessuno riusciva a fargliela togliere. Erano proverbiali i suoi scatti di nervi che ruotavano intorno alle seguenti espressioni. “Nata, ieu pasta e circerca, non di vogghiu. Mangiatilla tu. “Riri Nata?” “Ririci sta filarata i buttuni, Scurnacchiata”. I due però nonostante le intemperie quotidiane si amavano di un amore folle. “Un solo uomo e un solo Dio” così diceva commare Nata del marito. Noi li guardavamo sti vecchietti e da loro imparavamo. Una donna doveva partorire, un padre doveva partire, un matrimonio si doveva aggiustare Comare Nata era lì, con il suo sostegno, con i suoi consigli, intelligenti e oculati. I due ebbero un figlio, Giovanni che si interesso nel tempo del quartiere e della sopravvivenza di vecchie tradizioni e di modi di fare, nonostante l’incalzare pressante del cambiamento.

Erano questi i protagonisti del braciere in ogni quartiere c’erano due o tre, ed in ogni paese. Erano persone a cui si GUARDAVA e da cui IMPARAVA ad essere uomini e donne di giudizio e raziocinio.

Rappresentavano loro, il prototipo del modello educativo che si mosse negli anni a venire, prima che altri modelli “più moderni” soppiantassero questo schema. Ma un modello educativo è una categoria mentale e per scardinare una categoria o modificarla necessitano secoli. Ecco perché i nuovi schemi sono appiccicati sulle persone con la colla stick. Ecco perché si ricorre ai padri quando la vita ti mette alle strette e ti graffia l’anima. Oggi, secondo me bisogna riconoscere quello strato superbo, bello e ricco dell’essere nati contadini con tutta la bellezza che ne consegue. È qui, secondo me la radice del cambiamento, e cioè un ritorno ai padri e al loro modello educativo.

Graziella Tedesco

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