“Calabria, terra mia”: il cortometraggio del regista Muccino ha generato molto polemiche, non descrive totalmente le vere ricchezze di questa Regione e mette in luce alcuni vecchi stereotipi che già tutti conoscono
Descrivere la Calabria di sicuro non è facile, diciamolo chiaramente. Forse per farlo servirebbe il cuore di chi in questa Regione è nato, la vive ogni giorno, nel bene e nel male. Il sentimento di chi questa terra la ama per i suoi pregi, soprattutto per i suoi difetti. L’orgoglio di chi, la Calabria, la difende a spada tratta, nonostante le mille difficoltà e problematiche. Ci aveva creduto fortemente in questo progetto la Presidente Jole Santelli, che per la “sua” Calabria aveva pensato ad una pubblicità in grande, ideata e creata da professionalità di spessore internazionale, in grado di lanciare ad ampio raggio un messaggio forte, chiaro, deciso, per attirare i turisti e spingerli ad ammirarla per le ricchezze uniche e nascoste, di cui sempre troppo poco si parla. Un modo “per farla conoscere anche nelle sue piccole cose”, affermava la Governatrice da pochi giorni scomparsa. E per riuscirci ha puntato su personalità dal sicuro affidamento e di caratura internazionale: il regista Gabriele Muccino, che due sere fa ha presentato il cortometraggio in anteprima alla Festa del Cinema di Roma, e due attori protagonisti dall’assoluto livello artistico, Raul Bova e Rocio Muñoz Morales.
La clip è iniziata a circolare sui social, è stata visionata da tanti i calabresi, ha generato diverse reazioni. Molte delle quali, ad essere onesti, non proprio soddisfatte. Perché sì, è vero, la Calabria è anche quella descritta da Muccino, una “terra semplice quanto sfacciata”, fatta di “mare cristallino e profumo di agrumi”. Ma non è solo questo. Sicuramente non basta. Esiste un lungo elenco di luoghi che andrebbero sponsorizzati, messi a conoscenza di chi la Calabria non l’ha mai visitata. E poi, ci sono le tradizioni millenarie, c’è la storia della Magna Græcia, che da sola sarebbe sufficiente ad attirare l’attenzione di gente appassionata proveniente da ogni angolo del mondo, ci sono gli scavi e i reperti archeologici romani, bizantini, e chi più ne ha ne metta. Ha anche una gastronomia di qualità con prodotti unici, impossibile da trovare altrove, e non solo il Bergamotto che, per carità, sottolineiamolo, è l’oro di Reggio Calabria. Diamo a Cesare quel che è di Cesare. Quei campi di aranci e clementine, cos’hanno di diverso dalla Sicilia o dalla Puglia, non sono certo una peculiarità.
Possibile che Muccino immagini la Calabria come terra solo di agrumi, di uomini che usano ancora la coppola, di donne con i cesti in mano e asinelli trainati per le vie delle strade? Possibile che Muccino abbia una concezione così stereotipata di questa Regione? Scene di una realtà forse vissuta negli anni ’30 o ’40, e neanche, perché quegli abiti appartengono più alla tradizione siciliana che a quella calabrese. Una via di mezzo tra il Sud della Puglia e della Sicilia, non caratteri particolarmente tipici della Calabria. Stereotipi sul Sud. Inoltre la scelta poi di non sponsorizzare nessuna località in particolare, a parte la già famosissima Tropea intravista con un’inquadratura da “vedo non vedo”, lascia a desiderare. Oscurata invece completamente la montagna: non si fa infatti nessun riferimento all’Aspromonte o alla Sila, o al Pollino, uniche a lavoro volta per l’esplosione di colori e profumi, di luce e suoni, che forti destano l’assoluta vastità di sensazioni e percezioni.
C’è da fare comunque una considerazione: quante volte la trasposizione cinematografica (il film) tratto dalla trama di un libro che abbiamo letto, ci piace? Quasi mai, anzi infatti spesso genera in noi delusione. Questo accade perché proiettiamo quella realtà secondo una regia tutta nostra, legata alle esperienze di vita vissute, alle nostre sensazioni. Magari è proprio quello che tutti noi calabresi abbiamo provato osservando il cortometraggio di Muccino. Chissà, alla fine il regista invece riuscirà nel suo intento per cui è stato contattato. Lo speriamo. Ma resta il nodo in gola a chi l’amore per questa terra vorrebbe gridarlo ai quattro venti e per descriverla avrebbe messo in luce ben altro che una semplice arancia o un asinello.