“Calabria, terra mia”: il cortometraggio del regista Muccino ha generato molto polemiche, non descrive totalmente le vere ricchezze di questa Regione e mette in luce alcuni vecchi stereotipi che già tutti conoscono
Descrivere la Calabria di sicuro non è facile, diciamolo chiaramente. Forse per farlo servirebbe il cuore di chi in questa Regione è nato, la vive ogni giorno, nel bene e nel male. Il sentimento di chi questa terra la ama per i suoi pregi, soprattutto per i suoi difetti. L’orgoglio di chi, la Calabria, la difende a spada tratta, nonostante le mille difficoltà e problematiche. Ci aveva creduto fortemente in questo progetto la Presidente Jole Santelli, che per la “sua” Calabria aveva pensato ad una pubblicità in grande, ideata e creata da professionalità di spessore internazionale, in grado di lanciare ad ampio raggio un messaggio forte, chiaro, deciso, per attirare i turisti e spingerli ad ammirarla per le ricchezze uniche e nascoste, di cui sempre troppo poco si parla. Un modo “per farla conoscere anche nelle sue piccole cose”, affermava la Governatrice da pochi giorni scomparsa. E per riuscirci ha puntato su personalità dal sicuro affidamento e di caratura internazionale: il regista Gabriele Muccino, che due sere fa ha presentato il cortometraggio in anteprima alla Festa del Cinema di Roma, e due attori protagonisti dall’assoluto livello artistico, Raul Bova e Rocio Muñoz Morales.
C’è da fare comunque una considerazione: quante volte la trasposizione cinematografica (il film) tratto dalla trama di un libro che abbiamo letto, ci piace? Quasi mai, anzi infatti spesso genera in noi delusione. Questo accade perché proiettiamo quella realtà secondo una regia tutta nostra, legata alle esperienze di vita vissute, alle nostre sensazioni. Magari è proprio quello che tutti noi calabresi abbiamo provato osservando il cortometraggio di Muccino. Chissà, alla fine il regista invece riuscirà nel suo intento per cui è stato contattato. Lo speriamo. Ma resta il nodo in gola a chi l’amore per questa terra vorrebbe gridarlo ai quattro venti e per descriverla avrebbe messo in luce ben altro che una semplice arancia o un asinello.