Il Giro d’Italia che s’è concluso oggi a Milano non ha regalato grandi emozioni, eccetto le grandi performance di Filippo Ganna e Peter Sagan: sono loro ad aver salvato la corsa rosa nell’anno del Covid-19
Si è concluso oggi pomeriggio a Milano il 103° Giro d’Italia, corso in autunno a causa della pandemia da Coronavirus: appena 133 corridori sono arrivati al traguardo finale sui 176 partenti, anche a causa del Covid-19 che ha determinato il ritiro di due squadre importanti come la Mitchelton-Scott di Adam Yates, risultato positivo ai controlli in Abruzzo, e la Jumbo-Visma di Steven Kruijswijk, anche lui positivo al virus quando era in piena corsa per la maglia rosa. Arrivare a Milano e concludere la competizione in queste condizioni, preservando la “bolla” creata per i corridori e il loro staff, è stato già di per sè un grande successo. E proprio perchè gli organizzatori hanno regalato all’Italia la regolarità dello svolgimento della competizione, noi la commentiamo come se fosse stato un Giro normale. Perchè per i corridori che hanno lottato per la vittoria, è stato un Giro normale.
Ed è stato un Giro che non ci è piaciuto per nulla, probabilmente il più brutto di sempre. A partire dal percorso: presentato come “durissimo”, in realtà non è stato poi così impegnativo a maggior ragione dopo il ribaltone della tappa di Sestriere, che senza Colle dell’Agnello e Izoard è diventata molto più semplice. Quasi tutte le salite si sono evidenziate come pedalabili, “asfaltate” da un cronoman come Rohan Dennis. In ottima forma, ma pur sempre un cronoman. Erano salite inedite, tranne lo Stelvio che infatti è stato l’unico a far male. Ma le altre avremmo preferito non conoscerle, lasciando spazio a quelle storiche in cui s’è scritta la storia di questo sport. I big non si sono quasi mai affrontati dal vivo: a risultare determinanti sono state le tre cronometro, per un totale di 64,9 chilometri percorsi contro il tempo: nell’ultimo decennio erano stati così tanti solo nel 2017 quando – non a caso – proprio al Giro d’Italia Tom Dumoulin ha vinto l’unica grande corsa a tappe della sua carriera.
Non abbiamo visto uno scatto, ci ha provato soltanto Jai Hindley verso Sestriere ma non è riuscito a staccare il rivale che poi gli ha strappato la maglia rosa nella crono di Milano.
Non fosse caduto a Enna, durante il trasferimento prima del via della tappa dell’Etna, Geraint Thomas avrebbe stradominato questa corsa. Senza di lui, ci hanno pensato quelli che dovevano essere i suoi gregari: Tao Geoghegan Hart ha vinto addirittura la maglia rosa ad appena 25 anni, portandosi a casa anche due vittorie di tappa a Piancavallo e a Sestriere, la maglia bianca di miglior giovane, il secondo posto nella classifica della maglia azzurra di miglior scalatore. E pensare che il 30 marzo scorso era solo, chiuso in casa, nel giorno del suo compleanno a causa del lockdown. S’è fatto un bel regalo con qualche mese di ritardo.
Niente da fare per Vincenzo Nibali: lo Squalo dello Stretto ha concluso la corsa rosa al 7° posto, mai all’altezza dei migliori. L’anno scorso quando ha giocato con Roglič nella tappa di Courmayeur regalando al giovane Carapaz un Giro d’Italia che sarebbe stato suo, abbiamo scritto che sembrava aver perso la fame di vittoria. Quest’anno probabilmente ha pagato la maggior esplosività dei giovani che – come già visto al Tour de France con Pogacar – hanno reagito meglio alla diversa preparazione di una stagione segnata dal lockdown. Non è un caso se in questo Giro d’Italia, primo secondo e quarto sono anche il primo, secondo e terzo della classifica della maglia bianca di miglior giovane. Una maglia che soltanto 2 giorni su 21 ha indossato il vero detentore, quando la rosa l’ha assaporata Wilco Kelderman. Altrimenti l’uomo in maglia rosa era anche leader dei miglior giovani, con la lunga favola di João Almeida, il talento portoghese che ha concluso il Giro al 4° posto e ha fatto sognare un’intera nazione per tre settimane.
All’Italia restano le briciole: per Nibali, 36 anni a novembre, è evidente che si è ormai chiuso un ciclo, epico e ricco di emozioni da batticuore. Ma una stagione con il miglior italiano 7° al Giro e 10° al Tour non c’era mai stata nella storia del ciclismo: è un punto importante su cui interrogarsi. Alla Vuelta sta sbocciando il giovanissimo Andrea Bagioli, primo anno tra i prò. Ma non possiamo lasciare l’intero movimento sulle spalle dei singoli campioni, che pure ci saranno. Il problema è delle strutture, della considerazione che nel nostro Paese diamo agli sport. Ma si aprirebbe un discorso troppo lungo e avvilente.
Torniamo al Giro: per l’Italia ci sono state anche le due belle vittoria di Diego Ulissi, ma non c’è piaciuto come il francese Arnaud Démare, dominatore delle volate, ha gestito la vittoria della maglia ciclamino, dando il via libera alla fuga verso Asti, rinunciando così all’ultima occasione utile per vincere la tappa pur di non rischiare di perdere la classifica a punti. E’ un ciclismo calcolato a tavolino, che ci piace sempre di meno. Così come ci ha fatto schifo l’assurda protesta della tappa di Venerdì, piatta come un tavolo di biliardo: a Morbegno una parte dei ciclisti si sono rifiutati di partire. Stava piovendo con +13°C, nulla di estremo. Eppure dopo un anno così difficile e le enormi difficoltà per organizzare il Giro ai tempi della pandemia, hanno creato ulteriori problemi. E preteso che venissero cancellati i primi 135 chilometri di corsa, mentre famiglie e bambini li aspettavano sotto casa lungo il percorso per un evento atteso da mesi. Dovrebbero soltanto vergognarsi. Loro e gli organizzatori: avrebbero dovuto confermare la partenza. Per rispetto nei confronti di tutti. Chi non voleva pedalare sarebbe comunque stato libero di ritirarsi e andare a casa.
Ci restano Filippo Ganna e Peter Sagan. Sono loro i due volti di questo Giro d’Italia. Sono loro, con le loro imprese e il loro modo di correre, ad aver salvato l’attenzione e l’entusiasmo intorno a questa competizione. Ganna, da campione del mondo a cronometro (primo italiano della storia), ha vinto 4 tappe, non solo le tre crono ma anche l’impresa in montagna di Camigliatello dopo la scalata nella nebbia della Sila. Ha corso da gregario, spesso in testa al gruppo anche sulle salite più dure, e si è posizionato 61°, ma 20° nella classifica dei giovani per lui che ha ancora 24 anni e ampi margini di miglioramento. Non possiamo scommettere oggi su una sua competitività per i grandi Giri, ma certamente sappiamo che ci può lavorare. E che a prescindere, darà soddisfazioni enormi al nostro Paese.
Peter Sagan non delude mai: ha centrato una vittoria da sballo a Tortoredo Lido, altri 4 secondi posti ed è stato l’unico ad infiammare la corsa con la sua squadra nelle tappe più noiose. Un onore, averlo al Giro. Che senza di lui sarebbe stato molto più piatto. E noioso.