Il Giro d’Italia che s’è concluso oggi a Milano non ha regalato grandi emozioni, eccetto le grandi performance di Filippo Ganna e Peter Sagan: sono loro ad aver salvato la corsa rosa nell’anno del Covid-19
Si è concluso oggi pomeriggio a Milano il 103° Giro d’Italia, corso in autunno a causa della pandemia da Coronavirus: appena 133 corridori sono arrivati al traguardo finale sui 176 partenti, anche a causa del Covid-19 che ha determinato il ritiro di due squadre importanti come la Mitchelton-Scott di Adam Yates, risultato positivo ai controlli in Abruzzo, e la Jumbo-Visma di Steven Kruijswijk, anche lui positivo al virus quando era in piena corsa per la maglia rosa. Arrivare a Milano e concludere la competizione in queste condizioni, preservando la “bolla” creata per i corridori e il loro staff, è stato già di per sè un grande successo. E proprio perchè gli organizzatori hanno regalato all’Italia la regolarità dello svolgimento della competizione, noi la commentiamo come se fosse stato un Giro normale. Perchè per i corridori che hanno lottato per la vittoria, è stato un Giro normale.
Non abbiamo visto uno scatto, ci ha provato soltanto Jai Hindley verso Sestriere ma non è riuscito a staccare il rivale che poi gli ha strappato la maglia rosa nella crono di Milano.
Non fosse caduto a Enna, durante il trasferimento prima del via della tappa dell’Etna, Geraint Thomas avrebbe stradominato questa corsa. Senza di lui, ci hanno pensato quelli che dovevano essere i suoi gregari: Tao Geoghegan Hart ha vinto addirittura la maglia rosa ad appena 25 anni, portandosi a casa anche due vittorie di tappa a Piancavallo e a Sestriere, la maglia bianca di miglior giovane, il secondo posto nella classifica della maglia azzurra di miglior scalatore. E pensare che il 30 marzo scorso era solo, chiuso in casa, nel giorno del suo compleanno a causa del lockdown. S’è fatto un bel regalo con qualche mese di ritardo.
Niente da fare per Vincenzo Nibali: lo Squalo dello Stretto ha concluso la corsa rosa al 7° posto, mai all’altezza dei migliori. L’anno scorso quando ha giocato con Roglič nella tappa di Courmayeur regalando al giovane Carapaz un Giro d’Italia che sarebbe stato suo, abbiamo scritto che sembrava aver perso la fame di vittoria. Quest’anno probabilmente ha pagato la maggior esplosività dei giovani che – come già visto al Tour de France con Pogacar – hanno reagito meglio alla diversa preparazione di una stagione segnata dal lockdown. Non è un caso se in questo Giro d’Italia, primo secondo e quarto sono anche il primo, secondo e terzo della classifica della maglia bianca di miglior giovane. Una maglia che soltanto 2 giorni su 21 ha indossato il vero detentore, quando la rosa l’ha assaporata Wilco Kelderman. Altrimenti l’uomo in maglia rosa era anche leader dei miglior giovani, con la lunga favola di João Almeida, il talento portoghese che ha concluso il Giro al 4° posto e ha fatto sognare un’intera nazione per tre settimane.
All’Italia restano le briciole: per Nibali, 36 anni a novembre, è evidente che si è ormai chiuso un ciclo, epico e ricco di emozioni da batticuore. Ma una stagione con il miglior italiano 7° al Giro e 10° al Tour non c’era mai stata nella storia del ciclismo: è un punto importante su cui interrogarsi. Alla Vuelta sta sbocciando il giovanissimo Andrea Bagioli, primo anno tra i prò. Ma non possiamo lasciare l’intero movimento sulle spalle dei singoli campioni, che pure ci saranno. Il problema è delle strutture, della considerazione che nel nostro Paese diamo agli sport. Ma si aprirebbe un discorso troppo lungo e avvilente.
Peter Sagan non delude mai: ha centrato una vittoria da sballo a Tortoredo Lido, altri 4 secondi posti ed è stato l’unico ad infiammare la corsa con la sua squadra nelle tappe più noiose. Un onore, averlo al Giro. Che senza di lui sarebbe stato molto più piatto. E noioso.