Nel 1862 il comitato di resistenza di Scilla aiutò l’eroica impresa di Giuseppe Garibaldi

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Gli uomini di Menotti Garibaldi, il figlio di Giuseppe, che stavano alla retroguardia, furono aggrediti e circa 200 furono fatti prigionieri e avviati verso le carceri di Reggio Calabria e Scilla. Ma gli scillesi insorsero e liberarono i prigionieri

Dopo le votazioni per il plebiscito che si tennero il 21 ottobre del 1860, il generale e condottiero Giuseppe Garibaldi approfittò della vittoria di Enrico Cialdini sul generale borbonico Scotti Douglas per superare il Volturno il 25 ottobre. Incontrò Vittorio Emanuele II il 26 ottobre, lungo la strada che portava a Teano e gli consegnò la sovranità sul Regno delle Due Sicilie. All’unità nazionale mancavano ancora il Lazio e parte del Nord-Est della penisola. Il governo italiano non volle compromettere la via diplomatica col Vaticano e la Francia: Napoleone III che proteggeva il pontefice Mastai Ferretti ” Pio IX” aveva faticosamente costruito un patto diplomatico con Camillo Benso conte di Cavour, morto per malattia l’anno prima, nel 1961. Garibaldi non accettando il patto, spinto dall’ardore rivoluzionario con lo scopo di liberare Roma dal potere temporale e consegnarla allo Stato Italiano, il 24 Agosto del 1962, imbarcò le sue truppe su due vapori postali “Abbatucci” e “Dispaccio” e si diresse in Calabria, sbarcando nella notte del 26 Agosto presso Capo Spartivento. Qui alcuni reggini lo informarono della situazione della provincia, tenuta immobilizzata dall’assedio e dal gran numero di soldati dell’esercito torinese. E allora, dopo una breve sosta nel “Torrente di Melito”, le schiere garibaldine ripresero all’alba la via per Lazzaro, quindi attraverso la “Fiumara di San Nicola”, seguendo una pessima guida, si avviarono verso l’Aspromonte, tormentati dalla pioggia, dalla febbre, dalla stanchezza e dalla fame. Gli uomini di Menotti Garibaldi, il figlio di Giuseppe, che stavano alla retroguardia, furono aggrediti e circa 200 furono fatti prigionieri e avviati verso le carceri di Reggio Calabria e Scilla. Ma gli scillesi insorsero e liberarono i prigionieri, grazie all’intervento del capitano scillese Melidoni della Guardia Nazionale che parteggiava per i garibaldini. Lo stesso organizzò un servizio di rifornimento per Garibaldi giovandosi dello scillese Rocco Pizzarello che con una piccola colonna di muli, si recò sull’Aspromonte per portare i rifornimenti venuti in parte da Messina e in parte procacciati dal Comitato Garibaldino, costituitosi a Scilla.

Garibaldi prese tutto in consegna dal Pizzarello e gli affidò una lettera nella quale così si esprimeva: ai cittadini di Scilla, amici, vi ringrazio dei vostri doni e più dell’ardimento generoso con cui liberaste i nostri prigionieri. Popolazioni come la vostra, disposte ad ogni sacrificio per la libertà, renderanno facile e certo il compimento della nostra impresa. Io vi saluto con affetto. Vostro Giuseppe Garibaldi. In realtà le cose non andarono per il verso giusto: lo scontro tra Garibaldini e l’esercito di Casa Savoia alla guida del generale Cialdini avvenne il 29 Agosto 1862. Garibaldi rimase ad attendere in avanscoperta l’avanzata dei bersaglieri, dopo averli individuati in lontananza, convinto che si sarebbero uniti in una comune marcia su Roma, invece, non appena si avvicinò a loro i soldati aprirono il fuoco ferendolo alla gamba. Il bilancio di questa battaglia cruenta fu di 12 morti e 34 feriti che segnò la resa di Garibaldi, fermato nella sua marcia su Roma sul massiccio montuoso dell’Aspromonte. Il “Cippo di Garibaldi” in corrispondenza dell’albero sotto cui fu il generale, con la sua camicia rossa fu ferito, è distante solo 7 km dal paese di Gambarie, divenuto ai giorni nostri una tappa irrinunciabile per le visite dei turisti. Oggi si può vedere il maestoso albero caratterizzato da un ampio incavo, in cui tanti anni fa i compagni di Giuseppe Garibaldi fecero riposare il loro generale. Nella sua biografia, Garibaldi fu telegrafico “ebbi in regalo due palle di carabina, una all’anca sinistra e l’altra al malleolo interno del piede destro”. Subito si capì la gravità della ferita al piede, perché quella alla coscia era superficiale. Il mattino dopo il ferito venne adagiato su una barella di fortuna, costruita con rami d’albero e trasportato a braccia in direzione di Scilla. Garibaldi non volle toccare cibo, amareggiato anche dal fatto che non gli veniva permesso di imbarcarsi, come egli desiderava, su una nave inglese. Gli era stata assegnata invece la pirofregata “Duca di Genova”, insieme a Menotti, una decina di ufficiali e a tre medici. Mentre il generale Cialdini e il contrammiraglio Albini assistevano in silenzio la scena della partenza dell’Eroe: il popolo di Scilla e i garibaldini con profonda commozione dalla spiaggia delle sirene salutarono sventolando i fazzoletti e gridando: Viva Garibaldi, a Roma, a Roma! Frattanto a Scilla venivano arrestati il capitano Costantino Melidoni, il sindaco Mariano Idone e il giudice Giocchino Lo Presti, a causa degli aiuti prestati alla colonna garibaldina e della liberazione dei prigionieri politici.

Enrico Pescatore

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