28 dicembre 1908: 112 anni fa il terremoto distrusse Scilla e le città vicine a Reggio Calabria e Messina [FOTO]

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Era un lunedì, quando il 28 dicembre di 112 anni fa, il terremoto distrusse Scilla e le città vicine a Reggio Calabria e Messina

Il terremoto del 1908 non fu un fenomeno isolato (in egual modo al terremoto del 1783) ma il culmine di altri sciami sismici lunghi e duraturi, molto intensi e caratterizzati da frequenti scosse che durarono molti anni. Lo sciame sismico ebbe il suo culmine, Lunedì 28 dicembre 1908, ancora una volta nella zona tra Scilla e Cariddi, dove si verificò un cataclisma di notevoli proporzioni. Inizialmente si verificarono diverse scosse telluriche: la prima a moto sussultorio, la seconda con moto ondulatorio e la terza, la più intensa e rovinosa alle ore 5.20, con moto definito vorticoso. Situazione quest’ultima registrata e codificata per la prima volta dai geologi proprio in questo terremoto: si tratta di un evento piuttosto raro, dovuto al verificarsi contemporaneo della componente orizzontale (ondulatoria) del movimento con quella verticale (sussultoria). Le due forze, unendosi, generano una potenza immane. Difatti fu proprio questa terza scossa (valutata 7.1. gradi della Scala Richter), avvertita fino a Napoli e Campobasso, a provocare le principali distruzioni a Reggio Calabria e Messina, rase al suolo quasi completamente, con un numero di morti difficilmente accertabile con esattezza (dato il periodo) ma certamente una cifra vicina a circa 120.000 unità. Scilla fu una delle città più grandemente provata dal disastro ed anzi si può ben dire che sia stata quasi distrutta. I danni prodotti a Scilla, dalla scossa disastrosa furono enormi: nel comune si ebbero 812 feriti e 301 morti, su di una popolazione di circa 7.000 abitanti. Le case crollate e che dovettero essere in seguito demolite furono 1617: le case inabitabili 40 e lesionate 160. Le zone più colpite furono quelle della Nucarella, della Timpa e della Sinuria tanto che il suolo si abbassò di 40 cm. Le nove chiese di Scilla e quelle delle frazioni Favazzina, Solano e Melia o furono completamente distrutte, oppure talmente danneggiate da non poter essere più adibite al culto.

Distrutte la chiesa Matrice (ricostruita nel 1958), del Rosario che sorgeva dove ora c’è la Piazza San Rocco abbattuta completamente nel 1910, la chiesa San Nicola dell’Ospedale (che si era salvata nel terremoto-maremoto del 1783)e la cappella dell’Addolorata che sorgeva sulla punta Pacì, chiamata la Madonnella o Rotondetta, il grazioso tempietto votivo, ultimato nel 1844. Mentre nell’antica chiesa Santa Maria delle Grazie, semidistrutta dal terremoto del 1783, fu costruita dall’Ente Ferrovia dello Stato nel 1885, la stazione ferroviara di Scilla resse bene alle scosse ma non il tratto Bagnara-Scilla, in cui saltò la linea ferroviaria isolando nel versante tirrenico le zone disastrate mentre nel versante ionico l’isolamento fu determinato, tra Melito e Lazzaro, dal crollo di un ponte. La chiesa di San Rocco subì notevoli danni(fu prima ribassata e poi ricostruita nel 1990) e la Chiesa dello Spirito Santo sebbene leggermente lesionata all’interno, rimase la sola aperta al culto. Gli edifici pubblici: Municipio, Pretura, Carcere e Macello furono distrutti o danneggiati talmente da dover essere in seguito demoliti. Il Castello subì anche dei grandi danni, infatti crollarono tutte le costruzioni lato mare e molte parti pericolanti furono demoliti. I superstiti abitanti del quartiere di San Giorgio, esterrefatti, cercarono riparo nei giardini vicini, quelli di Chianalea trovarono riparo all’Oliveto mentre quelli di Marina Grande lungo la spiaggia. Scene di panico e di strazio indicibile rendevano più terrificante quell’alba rigida di pieno inverno. Sulle rovine delle case che avevano ostruito le vie, i feriti grondanti di sangue, venivano fuori a poco a poco dalle macerie, malamente coperti e talvolta addirittura nudi, dovettero combattere perfino contro la pioggia e il freddo. L’iniziale smarrimento e intontimento degli scampati si tramutava via via in angoscia per i lamenti, le invocazioni d’aiuto, le grida di disperazione dei bloccati dalle macerie, dei sospesi a ruderi pericolanti; per l’impossibilità di giovare a tanti infelici per i quali il ritardo d’intervento diventava fatale. Ciascuno voleva cercare spasmodicamente i suoi cari, brancolando nel buio, invocando disperatamente a gran voce chi non poteva sentire più! I primi soccorsi furono portati da una nave da guerra inglese al comando dell’Ammiraglio Lord Curzon.

Enrico Pescatore

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