Nel nel suo libro “Io sono libero“, scritto da Gianfranco Attanasio, pubblicato da Luigi Pellegrini e in vendita nelle librerie dal 10 dicembre, l’ex Sindaco e Governatore Giuseppe Scopelliti parla del suo rapporto coi detenuti in carcere e della triste storia sugli scafisti
Un’esperienza diversa, sicuramente, ma in questo caso non è una frase fatta. Il periodo che si trascorre in carcere permette di osservare le cose con un occhio diverso, da un’altra prospettiva. Ma, soprattutto, elimina i pregiudizi. Lo sa bene l’ex Sindaco e Governatore Giuseppe Scopelliti che, nel suo libro “Io sono libero“, scritto da Gianfranco Attanasio, pubblicato da Luigi Pellegrini e in vendita nelle librerie dal 10 dicembre, racconta nel profondo la sua esperienza “interna” e il rapporto con i detenuti.
“Io sono libero”, il libro di Scopelliti è già esaurito: iniziata la prima ristampa. L’editore Walter Pellegrini a StrettoWeb: “non me lo aspettavo, e da socialista con questo lavoro mi sono ricreduto su tante cose”
“Come sono i detenuti? Il reparto in cui mi trovo è di media sicurezza. Chi vi si trova ha commesso reati che vanno dalla ricettazione allo spaccio di stupefacenti, al furto alla rapina – dice – e poi ci sono io. Dietro ogni persona ci sono storie personali di emarginazione e povertà, dell’impossibilità di accedere a un percorso formativo. Soprattutto giovani, che hanno pregiudicato il loro futuro nell’indifferenza della politica, incapace di interpretare in tempo i bisogni della comunità e perciò costretta ad intervenire quando ormai l’unica azione possibile è il ricorso alla repressione. Cioè tardi! Al contrario, l’unica soluzione per contrastare le derive sociali ed eliminare i guasti di questo sistema è il modello di una società inclusiva. Al Sud, poi, il fattore che più di altri contribuisce ad aumentare il disagio sociale è l’assenza del lavoro. Il bisogno, il maledetto bisogno di un’occupazione dignitosa e sicura, continua a rappresentare un cappio al collo anche per le future generazioni. Devo riconoscere che questa esperienza, pur nella sua drammaticità, mi ha aiutato a superare molti pregiudizi. Dopo aver visto questo mondo dall’interno nutro una profonda preoccupazione soprattutto per i giovani, i tanti giovani che finiscono in carcere. Si entra anche per piccoli reati e, se non si è forti e stabili, o se la funzione rieducativa della pena non ottiene il risultato sperato, si corre il rischio di essere risucchiati nel vortice della criminalità organizzata che, proprio qui, proponendosi come alternativa a quella società che li ha marginalizzati, recluta le nuove leve”.
Nel racconto di Scopelliti emerge con forza la storia di una categoria “particolare”: gli scafisti: “Mi ha colpito la storia di alcuni di loro – dice – con cui sono entrato in confidenza, che continuano a giurare e spergiurare di essere estranei alle vicende contestate. Mi hanno raccontato che i trafficanti di esseri umani minacciano con le armi quelli che salgono a bordo, fino a costringere qualcuno di loro a prendere il comando della navigazione. Questi ragazzi, quindi, rischiano più volte la vita: la prima, quando scappano dai loro Paesi; la seconda, quando sono minacciati; la terza quando affrontano i rischi del mare nella speranza di attraversarlo indenni per conquistare una vita nuova. Invece, alla fine, vengono arrestati”.