La storia del Conte Paolo Ruffo che nel 1533 da Castellano divenne dittatore di Scilla approfittando della crisi politica del Sacro Romano Impero
Ferdinando II detto “il Cattolico” quando divenne Re di Sicilia nel 1468 e Re di Napoli nel 1504, per opporsi al tentativo della Francia di annettere il Regno di Napoli, dichiarò guerra contro le truppe del generale Robert Stuart d’Aubigny, inviando, nel 1494, il suo generale più fidato, Gonzalo Fernández de Córdoba. Gli spagnoli alleati degli italiani sconfissero i francesi nella famosa “disfida di Barletta”, riuscendo così a completare, nel 1503, la conquista dell’intero Regno di Napoli in favore della Spagna. Nel 1506 il Re Ferdinando “il Cattolico” aveva accolto positivamente la richiesta da parte del Comune di Scilla che a quei tempi veniva chiamato Università, confermando al paese, i privilegi concessi dai precedenti sovrani, con pari esenzioni e franchigie come a Messina e Lipari. Il Principe Pietro De Nava proprietario del Castello di Scilla contestò da subito questo stato di fatto e cercò di poter imporre alcune tasse, “balzelli”, sui punti non dibattuti dai sindaci del paese con i reali. Ma gli scillesi opposero continue resistenze, rifiutando le nuove imposte che pretendeva di imporre il castellano. Nel 1518 alla morte di Pietro De Nava, gli successe come Principe di Scilla il figlio Gutterra che continuò ad insistette e pretendere ciò che il padre non aveva ottenuto. L’Università di Scilla denunciò la controversia contro il Principe, addirittura presso la corte dell’Imperatore Carlo V che giorno 11 aprile del 1520 decretò un “Novello diploma” ispirato alle norme osservate dalla Costituzione del Regno. Il decreto dell’Imperatore stabilì che i “sindacatori” dovevano giudicare tutti gli atti che si riferivano alla nomina annuale del governatore del paese, affinché fosse allontanata ogni occasione di frode o accordi poco trasparenti con il feudatario. La convenzione tra gli scillesi e il loro Principe durò soltanto 11 anni, quando il 26 dicembre del 1533, Gutterra De Nava vendette il Feudo di Scilla al cognato Paolo Ruffo, “Conte di Sinopoli”. Il Conte Paolo Ruffo in un primo momento fu molto attivo e illuminato, iniziò un opera di fortificazione del Castello di Scilla, del Palazzo a Chianalea e tanti altri edifici divenuti di sua proprietà, a spese della Regia Corte. Restaurò ed abbellì il Palazzo Feudale e il Monastero dei Monaci Basiliani, che si trovava dentro il Castello stesso. Vi pose la lapide della propria famiglia all’ingresso del forte, sostituendo lo stemma della famiglia De Nava.
Ma in breve tempo le cose cambiarono, poiché il Conte Paolo Ruffo, approfittando della crisi politica dell’Impero di Carlo V, iniziò a pretendere dagli scillesi imposte, lavori e cortesie, favorito anche dalle lungaggini dei 65 capi d’accusa che i sindaci di Scilla, Leonzio Vizzari e Michele Trombetta avevano presentato contro di lui, nel 1557, al Sacro Regio Consiglio. Gli scillesi si opponevano al Principe Paolo Ruffo, soprattutto per l’obbligo gratuito della guardia al castello, contro la pretesa dell’ottava parte del vino che producevano dalle loro vigne e per il rotolo di carne o l’equivalente in denaro per ogni animale di qualsiasi specie che si fosse macellato per la pubblica vendita, che poi il Conte estese a tutti i prodotti commerciali. Quando Carlo V, il 22 ottobre del 1555, abdicò per una evidente crisi finanziaria dell’Impero Asburgico che unendosi con quello spagnolo divenne troppo grande e difficilmente gestibile, consegnò al fratello Ferdinando I, il trono di Imperatore del Sacro Romano Impero, mentre il figlio Filippo II di Spagna detto “Filippo il prudente” era divenuto Re del Regno di Napoli il 24 luglio del 1554. Anche le periferie del Regno di Napoli e della Sicilia divennero meno controllabili burocraticamente, soprattutto perché si tolse la giurisdizione ai magistrati municipali, affidandola al Regio Ufficiale o “Portolano”. Il Principe Paolo Ruffo dichiarò subito che nel interesse del Regio Fisco ad esprimersi sul fatto, fosse competente la Regia Camera Sommaria e non il Sacro Regio Consiglio. Paolo Ruffo impugnò così, il diritto di “portolonia di terra”, comprato dalla Regia Corte a Napoli con atto notarile del 6 maggio del 1556, che gli permise di adottare ampi poteri. Si assunse la facoltà di poter vigilare le strade e sui luoghi pubblici, proibire l’apertura di alberghi e osterie, vietare l’uso delle acque dei torrenti per irrigare i terreni per l’agricoltura o per mettere in moto i mulini, impedire la raccolta di castagne o di ghiande e vietare il taglio del legname nei boschi, e pretendere il monopolio della macinazione del frumento. Tutti questi “gravami” permisero al Conte di trovare la “scusante” di multare i contravventori e abrogarsi anche il diritto delle misure e dei pesi, istituendo una vera e propria dittatura. Avuta questa giurisdizione, il Conte Paolo Ruffo iniziò le vessazioni sugli scillesi, ordinando ai suoi ufficiali ti infliggere continue obbligazioni pecuniarie a chi non rispettava le sue regole. Ai reclami degli scillesi per le sanzioni inflitte in modo arbitrario, il Conte Ruffo nel 1558 comparve innanzi alla Regia Camera, la quale il 6 settembre dello stesso anno con una ordinanza regolamentava le multe ai contravventori. Ma anche dopo questa sentenza le vessazioni del Conte Ruffo nei confronti degli scillesi continuarono anzi peggiorarono poiché mise numerosi imposizioni anche alla pesca. Il Conte Paolo Ruffo diede l’opportunità di vendita libera, solo ai pescatori che avevano provveduto a pagare la quota del pescato o che gli avevano regalato le necessarie provviste, pretese una tassa di affitto su tutti i promontori usati per avvistare il pesce spada e vietò la raccolta di ostriche e molluschi sotto gli scogli del Castello di Scilla. Nel 1559 il Conte Paolo Ruffo morì e il nuovo castellano fu suo figlio Fabrizio, che cercò di continuare l’opera cruenta del padre contro gli scillesi, ma due sentenze, quella del 12 aprile 1559 e del 14 luglio 1564 del Sacro Regio Consiglio limitarono fortemente le pretese e i poteri della famiglia Ruffo nei confronti dei cittadini di Scilla.
Enrico Pescatore
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