Con il “no” a Draghi Giorgia Meloni vince lo Gnù d’Oro della politica

StrettoWeb

Verso il nuovo governo Draghi: la posizione di Giorgia Meloni, l’ennesimo errore della leader senza lungimiranza

Quando ero ragazzino e frequentavo l’oratorio, nel gruppo degli adolescenti eravamo soliti divertirci assegnando lo Gnù d’Oro, un premio virtuale dedicato a chi la combinava o la sparava più grossa. Una specialità in cui tra l’altro ero maestro tanto che conservo ancora nella bacheca dei miei ricordi una lunghissima sfilza di riconoscimenti tributati dagli amici di allora.

Oggi appare evidente che se il Colle fosse un centro parrocchiale e i leader dei partiti politici italiani fossero un gruppo di ragazzini, lo Gnù d’Oro sarebbe assegnato per distacco a Giorgia Meloni per come si sta comportando dopo l’incarico a formare un nuovo Governo conferito dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella a Mario Draghi.

Foto di Fabio Campana / Ansa

Il Centrodestra ha perso il tempo facendosi trovare impreparato sin dal primo momento, quando avrebbe dovuto immediatamente sostenere in blocco e con piena convinzione la scelta di Draghi, mettendoci la bandierina. Da sempre moderato, cattolico e liberale, Draghi è stato nominato come economista e tecnico nei vari ruoli di vertice da Berlusconi negli anni dei Governi del CentroDestra (2001-2006 e 2008-2011). E’ una figura di altissimo profilo con un curriculum straordinario e ampiamente documentato, a differenza di quello del suo predecessore, che arriva dopo la disastrosa stagione delle incompetenze grilline e degli affarismi della sinistra che ha occupato incarichi e poltrone elargendo prebende con nomine mai meritocratiche ma sempre legate ai partiti, come abbiamo visto nei casi più eclatanti delle task force, da Walter Ricciardi ad Arcuri, fino ai vari Cotticelli, Zuccatelli e compagnia per la sanità calabrese. Sposare da subito il Governo Draghi significava per il Centrodestra indirizzarlo verso politiche liberali, significava trovare finalmente la strada per realizzare davvero tutto ciò che le opposizioni predicano da un anno lamentando la mancanza di ascolto da parte del Governo uscente, e significava soprattutto a livello politico destabilizzare la sinistra che avrebbe avuto a quel punto grande imbarazzo, in tutte le sue componenti (non solo M5S e LeU ma anche il Pd), nel sostenere il nuovo esecutivo subito accolto con entusiasmo da Salvini, Meloni e Berlusconi.

Foto di Fabio Campana / Ansa

Tutto questo non è accaduto proprio per le resistenze di Giorgia Meloni, ma prima Berlusconi e poi persino Salvini si sono defilati dalla leader di Fratelli d’Italia e hanno deciso di sostenere Draghi. Una scelta ovvia, vista la situazione e anche le prospettive di un Governo guidato da un uomo così capace e autorevole che avrà a disposizione il mare di soldi del Recovery Fund e dovrà scegliere soltanto come spenderli al meglio.

Compito dei partiti sarà soltanto indicare come: se fare grandi infrastrutture come il Ponte sullo Stretto e l’alta velocità ferroviaria come da sempre vuole il Centrodestra d’accordo anche con Renzi e Calenda, o se investire i soldi della logistica e dei trasporti in orti botanici e giardini pensili come invece vogliono sinistra e i grillini. Se investire nel taglio del cuneo fiscale per l’abbattimento del costo del lavoro, favorendo la produttività delle imprese e l’occupazione come vuole tutta l’area del Centrodestra anche qui in pieno accordo con Renzi e Calenda, o se perseverare con l’assistenzialismo del reddito di cittadinanza e dei sussidi voluti dalla sinistra e dai grillini. Se riformare la Giustizia partendo dal caposaldo del garantismo, o se imbarbarire il nostro sistema di Stato avvicinandoci ai regimi del giustizialismo tanto voluto da Bonafede e dai cinque stelle. Se destinare 17 miliardi (!!!) del recovery plan alla “parità di genere“, come avevano fatto M5S, Pd e LeU nel piano che adesso verrà riscritto, oppure destinare tutti questi denari alle famiglie incentivando le nascite e dando una nuova prospettiva a un Paese che tende a spopolarsi sempre di più.

Quello che farà il nuovo Governo, ovviamente, dipenderà dagli equilibri tra i partiti che lo sosterranno. E dicendo “no” a Draghi, Giorgia Meloni ha detto “no” alla possibilità che le sue idee entrassero nel programma del nuovo esecutivo. Ha detto “no” alle volontà dei suoi elettori, tanto che è stata richiamata anche dai colonnelli del suo partito a cui però ha deciso di non dare ascolto. E così la nuova destra di Giorgia Meloni sembra tornare indietro di 35 anni alla marginalità politica cui il MSI era comprensibilmente relegato durante la prima repubblica, portandosi addosso il pesante fardello della nostalgia fascista. La stagione di Fini e Berlusconi, che riuscirono a trasformare la destra in una forza di governo a livello nazionale e locale, dovrebbe insegnare qualcosa ai nuovi leader della coalizione. Persino Salvini l’ha capito, la Meloni preferisce invece continuare a sbraitare dall’opposizione. Dove è tutto più facile, a parole, ma ancora una volta la scelta della leader di Fratelli d’Italia preannuncia un vero e proprio suicidio politico. Perchè è vero che la coerenza è un valore nobile e sempre più raro, ed è vero che a differenza degli altri alleati (Berlusconi con Renzi nel 2014, Salvini con i grillini nel 2018) la Meloni è stata l’unica a non allearsi mai con gli avversari della sinistra. Ma è anche vero che non c’è nulla di più coerente che supportare e sostenere Mario Draghi per coloro che fino ad oggi hanno lamentato le incompetenze, l’assistenzialismo, lo statalismo e il giustizialismo di Conte, Speranza, Arcuri, Bonafede, Spadafora, Azzolina e Toninelli. E’ l’inizio di una stagione nuova, l’occasione per mettersi alle spalle tutto il degrado politico che a parole proprio Giorgia Meloni ha fin qui contrastato. E proprio Giorgia Meloni si fa sfuggire quest’occasione: altro che coerenza!

giorgia meloni
Foto di Riccardo Antimiani / Ansa

In questo modo, mentre persino i grillini stanno cedendo alle resistenze delle frange più estremiste decidendo di sostenere Draghi, Giorgia Meloni sarà l’unica, isolata, all’opposizione di un Governo che si preannuncia di altissima qualità e che con ogni probabilità raggiungerà risultati importanti. Ecco che mentre il suo consenso politico stava aumentando arrivando a intimidire addirittura Salvini nella leadership della coalizione, adesso si preannuncia una forte emorragia di preferenze all’interno del Centrodestra, da FdI verso la Lega e Forza Italia, certamente più apprezzati se riusciranno – e ci riusciranno – a rispondere con i fatti del nuovo Governo alle richieste dei loro elettori che vogliono meno tasse, più infrastrutture, maggior attenzione per il lavoro e la famiglia.

Ciò che resterà a Giorgia Meloni sarà raccattare il consenso dei disagiati ex grillini, delusi dal sostegno del M5S a Draghi e vogliosi di un nuovo leader che strilli “vaffa” a destra e a manca. Parliamo di terrapiattisti, no vax, complottisti vari. Quelli che hanno portato al governo Toninelli e Di Maio, Casalino e Azzolina regalandoci i banchi a rotelle e i monopattini. Quelli che una destra seria dovrebbe contrastare, anzichè intercettare anche solo come mero consenso. Da un lato avremo Mario Draghi con personalità politiche del calibro di Berlusconi, Renzi, Calenda, Bonino, l’esperienza di Governo di partiti solidi e radicati come Pd e Lega. Dall’altro rimarranno solo Giorgia Meloni e Alessandro Di Battista.

Tuttavia non è una novità che Giorgia Meloni faccia scelte masochiste e suicide: già nel 2016 aveva spaccato la coalizione per le comunali di Roma, regalando la capitale al Movimento 5 Stelle di Virginia Raggi. Un centrodestra in grande vantaggio si divise in due proprio per l’ambizione della Meloni di candidarsi personalmente, e rimase fuori persino dal ballottaggio.

Sono passati cinque anni, ma Giorgia è rimasta sempre la stessa. Lo Gnù d’Oro è ancora una volta suo, per distacco.

Condividi