I primi stadi della globalizzazione del calcio

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Sono sempre di più i club di calcio europei in mano a ricchi stranieri

Un noto finanziere statunitense, Robert Platek, ha acquistato il piccolo Spezia, appena promosso in A. Si dice che ami molto la Liguria. Lo stesso miliardario è già proprietario di due piccole squadre, in Portogallo e in Danimarca. Ama anche il fado e la sirenetta di Andersen divenuta celebre statua, e attrazione turistica, a Copenaghen? A parte gli scherzi, sono sempre di più i club di calcio europei in mano a ricchi stranieri. In Italia dieci anni fa non ce n’era uno. Dopo la Roma, gli americani hanno acquistato Fiorentina e il Parma. Il Milan è del fondo Elliott, sempre made in Usa. Il Bologna è canadese. L’Inter appartiene al gruppo cinese Suning. Anche all’estero la musica è la stessa, anzi di più. In Premier League, il più seguito e ricco campionato calcistico del mondo, solo cinque club su venti sono inglesi, gli altri se li sono comprati statunitensi, arabi, cinesi, russi, thailandesi e… italiani. Come si spiega questo fenomeno? È la globalizzazione, bellezza, si potrebbe dire. I capitali se ne vanno a spasso per il mondo e cercano occasioni per fare ulteriori guadagni.

I club italiani sono economicamente più abbordabili rispetto ad altre situazioni, e assicurano maggiori margini di crescita. Da noi, ad esempio, è ancora agli inizi il capitolo della costruzione degli stadi di proprietà, che è una ghiotta occasione di business, grazie anche a tutto l’indotto che porta con sé. Non solo: se il governo e i comuni dessero il via libera alla costruzione di nuovi stadi, si valorizzerebbero anche le società, che potrebbero andare in Borsa o crescere di molto, se già vi sono. Ecco dunque perché comprare in Serie A è diventato un affare. Certo, tutto ciò stride con la riconversione ecologica dell’economia promessa dall’Unione europea e dal governo Draghi. Ma in fondo, se nella maggioranza e nella “squadra” governativa vi sono partiti che chiedono di costruire il ponte sullo Stretto, perché non chiedere anche di costruire gli stadi? È l’America che lo vuole, più che l’Europa, in questo caso. Anzi, è la finanza internazionale. Che Draghi conosce bene.

Olga Balzano Melodìa

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