La “legge del contrappasso” che punisce Casalino: perché le nomine di Franco e Garofoli sanno di rivincita

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Vittime di una campagna diffamatoria ben precisa del portavoce di Conte, Franco e Garofoli sono stati chiamati dal neo premier Mario Draghi a ricoprire gli incarichi cruciali di ministro dell’Economia e Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio

Chiamasi karma, nel bene o nel male tutto torna sempre indietro. Accade nella vita, in questi giorni sta accadendo nel mondo della politica. Mentre Daniele Franco giurava come ministro dell’Economia e Roberto Garofoli come sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Rocco Casalino veniva inquadrato con gli occhi commossi mentre da tradizione Giuseppe Conte salutava Palazzo Chigi. E’ questo l’esempio della ruota che gira: Franco e Garofoli, infatti, furono due “vittime” dell’avvento del Movimento 5 Stelle. Come ricorda Il Foglio, nel settembre del 2018, quando il governo di Conte faceva schizzare lo spread oltre i 300 punti con il suo programma anti europeista, Rocco Casalino inviò ai giornalisti l’audio in cui annunciava una “megavendetta” grillina contro i dirigenti che non assecondavano il programma del partito: “ci concentreremo a far fuori tutti questi pezzi di merda del Mef. Non ce ne fregherà veramente niente, ci sarà una cosa ai coltelli proprio”, affermò il portavoce del presidente del Consiglio. Per il M5s Franco era tra i nemici principali e le obiezioni tecniche di erano il “sistema” che voleva mettere i bastoni fra le ruote al governo del cambiamento. “Abbiamo bisogno di persone di fiducia, non di vipere in posti chiave del Mef e della Ragioneria”, dichiararono i pentastellati quando l’allora vicepremier Luigi Di Maio accusò una “manina” di aver modificato la relazione tecnica del “decreto dignità”. Il M5s arrivò, ad accusare di sabotaggio e infedeltà il Ragioniere dello Stato Daniele Franco, che è da tutti riconosciuto come un uomo delle istituzioni. Una strategia, quella di Casalino per liberarsi di chi era d’intralcio, anche tramite la diffusione di accuse infondate.

Dopo Franco, che dopo pochi mesi lasciò l’incarico di Ragioniere dello stato per entrare nel direttorio della Banca d’Italia, un trattamento simile fu adottato per Garofoli. Nell’autunno 2018 il Fatto Quotidiano pubblicò decine di articoli e diverse prime pagine a Garofoli, accusandolo di un suo intervento in conflitto d’interessi alla base di una norma a favore della Croce rossa e anche di aver fatto lavorare in nero una persona nella casa editrice di famiglia. La campagna politico-mediatica prevedeva denunce in prima pagina e reazioni indignate che venivano riprese in articoli che a loro volta amplificavano le accuse. Così il M5s chiese le dimissioni di Garofoli, che arrivarono a dicembre dopo la legge di Bilancio. L’ex capo di gabinetto del Mef , con un comportamento istituzionalmente impeccabile si fece da parte senza alimentare polemiche, pur sapendo che le accuse erano false. Un anno dopo, nel marzo 2020, a seguito di una denuncia di Garofoli  e come parte di un accordo extragiudiziale, il quotidiano di Marco Travaglio ammise in un trafiletto a pagina 12 che le accuse rivolte a Garofoli erano prive di fondamento. Ora la “rivincita” di entrambi è arrivata: che avevano lasciato in silenzio le istituzioni, dopo aver lealmente lavorato, in seguito ad un’accurata campagna diffamatoria, adesso entrano al Quirinale perché chiamati dal neo premier Mario Draghi a ricoprire gli incarichi cruciali di ministro dell’Economia e Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio.

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