Melito Porto Salvo, Stefano non va trattato come un bambino speciale: bisogna solo che non sia discriminato in relazione al suo handicap. E che questo handicap non sia evidenziato proprio da chi si propone di superarlo
Piccola storia triste. Stefano (il nome è inventato), un bambino dal viso d’angelo, di 9 anni, deve fare la Prima Confessione in una parrocchia di Melito Porto Salvo insieme ai suoi compagni di catechismo. Stefano non va trattato come un bambino speciale: bisogna solo che non sia discriminato in relazione al suo handicap. E che questo handicap non sia evidenziato proprio da chi si propone di superarlo. In una parrocchia poi non ci sarebbe nemmeno bisogno di dirlo: non è la casa del Signore, il luogo in cui tutti, ma proprio tutti, possono sentirsi ugualmente fratelli? Il bimbo si muove con l’ausilio di una carrozzina elettrica: non è una situazione inusuale. Ma il percorso di scivoli approntato, molto appariscente, ha fatto sentire il piccolo mortificato per la sua malattia. La mamma ha dovuto portarlo via, per evitargli ulteriori umiliazioni: l’esposizione della sua diversità di fronte a tutta la comunità. Un evento del genere, va detto, avrebbe potuto e dovuto essere organizzato in un’area priva di barriere architettoniche. Per evitare una mortificazione che non solo può nascere dall’handicap, ma anche dalla sua evidenziazione. Non bisogna essere molto perspicaci per capire che l’aspetto psicologico della questione è in questo caso ugualmente importante di quello fisico. Sarebbe bastato un po’ di buona volontà, un po’ di sensibilità. Ha ragione Cinzia Nava, presidente del Centro regionale pari opportunità della Calabria: bisogna agire tutti, al di là delle leggi, che pure ci sono, per evitare il ripetersi di casi del genere. Tutte e tutti accanto a Stefano, non una tantum, ma nella vita di tutti i giorni.
Olga Balzano Melodìa