Se la Reggina non è in una situazione di classifica critica, come lo era due mesi fa, i meriti sono tutti di Baroni: ecco perché guardare il bicchiere mezzo pieno
Esiste una strana “tradizione” a Reggio Calabria secondo cui, dopo qualche vittoria o risultato utile di fila, ci si dimentichi improvvisamente delle difficoltà incontrate dalla Reggina fino a poco prima. Che, all’improvviso, diventa una squadra imbattibile, fortissima e in grado di vincere con tutti. Ed è lo stesso motivo per cui, dopo due sconfitte, “non c’è nenti“. Ma anche lo stesso per la quale, dopo i primi anni di salvezze sofferte in A, il club amaranto avrebbe potuto – anzi dovuto – puntare alla Coppa Uefa!
Dalla Coppa Uefa alla salvezza
Chiamiamola ambizione, chiamiamola voglia di vincere, chiamiamola mancanza di equilibrio, chiamiamola un po’ come ci pare. Sta di fatto che gli anni passano, ma questa “cultura” non va mai via. E così accade che la Reggina vada vicinissima alla terza vittoria di fila a Cosenza, pregusti un bel “-4” dal Pordenone prossimo avversario (9° in classifica e a -3 dai playoff) ed è subito “con questa squadra andremo ai playoff“. Poi il Cosenza rinviene, pareggia e la squadra di Baroni rimane attaccata al gruppone salvezza, perdendo probabilmente il treno utile per uscire dalla zona calda pur rimanendo a un importante +3 sui playout.
Tutti i numeri (positivi) di mister Baroni
Ora, che pareggiare una partita che si conduceva per 0-2 possa bruciare un pochettino, ci sta. Così come il fatto che sia arrivata alla fine, dopo aver fallito più volte il tris e con due episodi arbitrali a sfavore degli amaranto. Ma da ieri sera, su Baroni, se ne sono lette e sentite veramente tante. Come se quello che ha compiuto da quando è arrivato fosse così scontato, sia dal punto di vista dei risultati, sia sul piano del gioco e dell’atteggiamento emotivo nei confronti del collettivo e dei singoli. E, visto che la memoria è sempre troppo corta, provo a rinfrescarla. I numeri per il tecnico amaranto parlano chiaro: in 11 partite ha ottenuto 16 punti e, nella speciale classifica delle ultime 10 gare, la Reggina sarebbe quinta. Se si considerano invece le ultime 5, la squadra amaranto sarebbe addirittura terza, dietro solo a Venezia e Chievo. Un cammino del genere, in questa stagione, non c’era mai stato.
E questa è solo la mera statistica sui risultati. A ben guardare il lavoro concreto, quello che permette ai fatti di diventare produttivi, c’è molto altro di più di cui Baroni non possa non prendersi i meriti. C’è una difesa completamente ritrovata e più sicura di sé, c’è un collettivo più consapevole e fiducioso nei propri mezzi, c’è una squadra più aggressiva, veloce, propositiva e cinica, altresì capace di soffrire nei momenti che contano. E, soprattutto, c’è il suo zampino nella crescita individuale di gente come Stavropoulos, Folorunsho, Menez. Senza dimenticare il lavoro “oscuro” – ma non troppo – nell’appoggiare Taibi in fase di mercato, con il consiglio su alcuni calciatori e la sua intermediazione diretta.
Quelle “maledette” sostituzioni
Può, un lavoro del genere, essere cancellato da dei cambi considerati tardivi? A mio avviso, la risposta è no. In questi casi, infatti, vige sempre la “regola” del “è sempre bravo quello che non entra”. Perché contro l’Entella si è passati da “metti Okwonkwo” a “Okwonkwo non andava messo perché deve entrare in forma“. Perché contro l’Entella Baroni ha effettuato ben quattro cambi a metà gara, ma la squadra ha sofferto lo stesso fino alla fine, così come ieri a Cosenza, in cui i cambi erano stati solo due. Perché ieri i cambi erano effettivamente pronti e il mister li ha soltanto tardati per riflettere sino all’ultimo sull’utilizzo di Montalto, che non avrebbe mai voluto rischiare. Perché se Di Chiara si fa uccellare da Gerbo come se questi fosse un Salah qualunque, o Cionek e Crimi si fanno beffare da Bahlouli (in due a raddoppiare!), la colpa non è di certo di Menez che – anzi – all’83’ è lì a difendere (tra l’altro in anticipo su Mbakogu). La Reggina la partita non l’ha vista sfuggire di mano nel finale di ripresa, ma nel finale di primo tempo. Chiudere all’intervallo sullo 0-2 sarebbe significato ben altro che chiuderlo di misura, ma i dettagli nella crescita di cui parla Baroni sono evidentemente questi. E Di Chiara non è la prima volta che si fa beffare in quel modo sul suo lato.
Perché il bicchiere è mezzo pieno
Un allenatore, e solo un allenatore, conosce a fondo lo stato fisico-atletico di un gruppo che lui stesso – da settimane – definisce “eterogeneo”. C’è Okwonwko che si allenava da solo col personal trainer, c’è Lakicevic che non giocava da un anno, ci sono Nicolas, Edera e Micovschi fermi da troppo tempo. E c’erano Cionek e Stavropoulos a rischio prima del match. Il principale compito di Baroni, e lì si che serve un miracolo, è far sì che il gruppo da eterogeneo diventi omogeneo. Ma a queste condizioni, quelle descritte sopra, il bicchiere non può che essere mezzo pieno. Anzi, tutto pieno, col rischio che l’acqua cada pure di fuori. E non dovrebbero esserci neanche tanti dubbi. Specie per quella che era la situazione – e questo non si deve mai dimenticare – due mesi fa: poche certezze, fragilità fisica e mentale, tanti infortuni. Sembrano passati secoli. Sono passate 8 settimane. E ora arriva il tour de force più tosto della stagione, quello in cui la Reggina delineerà il suo cammino. Sempre, ovviamente, pensando alla salvezza. Per la Coppa Uefa, infatti, c’è ancora tempo…