Il futuro politico di Giuseppe Conte: all’ex Premier conviene porsi a capo di un M5S spaccato e disunito?

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Il futuro politico di Giuseppe Conte: nel Movimento grillino oggi fermenta un guazzabuglio di idee contrapposte, difficili da portare a unità

di Agazio Loiero- A Giuseppe Conte conviene davvero porsi a capo di una zattera così sgangherata come quella del Movimento 5 Stelle? Ne dubito. Dalla caduta verticale del consenso, alle espulsioni, alle richieste di reintegro e relativi danni degli epurati, alla grana di Rousseau, all’ipotesi di cambio del nome, nel Movimento grillino oggi fermenta un guazzabuglio di idee contrapposte, difficili da portare a unità. Anche per un uomo come Conte dalla storia politica breve ma lineare, di cui forse risulta utile a questo punto richiamare alla mente qualche scampolo. I fatti che mi accingo a ricordare sono piuttosto recenti. Dovrebbero essere noti a tutti, ma esiste una tendenza nella nostra società, come afferma  Adriano Prosperi in un suo recente bellissimo saggio “Un tempo senza storia” (Einaudi editore) da poco in libreria, a dimenticare in fretta il passato. Anche recente.

Conte, fortunosamente pescato nel 2018 nel bacino accademico, non ha operato male alla guida dell’esecutivo. Specie se si considera che esordiva in un mestiere che aborre il dilettantismo e che il suo percorso di governo si è giocoforza rivelato contraddittorio. L’Avvocato del popolo, com’è noto, è stato costretto a governare per oltre un anno in alleanza con una Lega antieuropea. Oggi questa valanga di risorse del Recovery plan, fra i tanti meriti, annovera quello di avere per incanto modificato gli umori del popolo della Padania  nei confronti del vecchio Continente, ma all’epoca del primo esecutivo Conte, non l’euro, ma l’avversione all’euro, a Salvini appariva, per citare un aggettivo di Draghi, irreversibile. Successivamente, espulsa in forma teatrale la Lega dall’area di governo, l’Avvocato, in nome della governabilità, ha dovuto stringere alleanza con il centrosinistra che aveva rappresentato nella campagna elettorale dell’anno prima l’area contrapposta sia alla Lega di Salvini sia al M5S di Grillo. Una situazione del tutto nuova nella pur mutevole storia istituzionale del nostro Paese. Queste le proibitive condizioni storiche in cui Conte ha operato. Nei primi mesi in cui è stato chiamato a svolgere il gravoso incarico di governo è stato spesso messo in un angolo dalla strisciante ma feroce contrapposizione tra i suoi due vicepremier. Entrambi alla ricerca esasperata di un  protagonismo capace di identificarli, agli occhi dell’opinione pubblica, come i veri capi del governo in carica. L’avvocato, dopo un iniziale sbandamento, ha compiuto una mossa strategica di assoluta qualità. Si è, come dire, rifugiato in Europa dove, favorito da un clima meno avvelenato, è riuscito a intessere con pazienza relazioni, rapporti, vincoli che rappresentano il nucleo implicito di una politica di qualità. Il risultato conseguito è stato notevole. A tratti strabiliante. Si può girare la frittata come si vuole – e molti giornali italiani lo fanno con destrezza e pregiudizio – ma il miracolo del  Recovery, a fronte della strenua opposizione dei Paesi frugali, rappresenta in massima parte una sua prodezza politica.

Detto questo, bisogna anche riconoscere che Conte, negli ultimi mesi trascorsi a palazzo Chigi, ha commesso errori gravi sulla scena della grande politica. Non mi riferisco all’uso continuo dei Dpcm che gli veniva a torto rimproverato, ma che costituisce lo strumento istituzionale più congruo – molto di più del decreto legge – per fronteggiare una pandemia devastante. Ha sbagliato invece più di una volta la scelta del tempo e si è lasciato soggiogare da due elementi pericolosi, tra loro spesso correlati. Il potere, che, quando da un leader non viene assorbito in dosi graduali, procura quasi sempre un’inevitabile sindrome narcisistica. Lui è infatti passato all’improvviso dalla lezione “sulla causa del contratto” alla guida di un Paese. Anche nella politica spicciola ha lasciato a desiderare. Ha sottovalutato il talento malefico di Renzi che nella politica fiorentina di qualche secolo fa era di casa. Infine quell’affannosa ricerca al Senato, avvenuta peraltro così in ritardo, dei Responsabili è un avvenimento che macchierà per sempre il suo cursus honorum. Ciò non di meno, anche valutando con severità questi errori, nel complesso le sue qualità soverchiano di molto i suoi limiti. Torniamo alla domanda iniziale. Perché a Conte non conviene oggi imbarcarsi nella scialuppa malmessa del M5S? Ragioniamoci su, come direbbe Zaia nella rappresentazione del venerdì operata da Crozza. La battaglia del prossimo futuro, con qualsiasi legge elettorale, sarà frontale tra centrodestra e centrosinistra. Tutti i sondaggi danno la prima coalizione in largo vantaggio sulla seconda. Conte potrebbe rappresentare il leader moderato, capace di attingere consenso sia nell’area degli incerti, dei quali scriverò più avanti, che nel bacino del centrodestra. Di più. Potrebbe spingere un Pd in crisi di rappresentanza fuori dalle ZTL verso le periferie abbandonate, spesso in balia delle destre. Diventerebbe così la quarta gamba del tavolo che si aggiungerebbe al Movimento di Grillo al Pd e a Leu. I sondaggi di questi giorni, valutati nell’ipotesi che Conte guidi il M5S, danno una crescita notevole del Movimento di Grillo in grande parte a discapito del Pd, per cui, nella percentuale della coalizione giallorosa i mutamenti sarebbero irrilevanti.

Il vero problema oggi non solo per il centrosinistra ma per la politica italiana è disporre di un uomo capace di smuovere quel patrimonio inerte di incerti, che si rifugia nell’astensionismo. Un’impresa   che la figura di Conte potrebbe tentare più agevolmente di compiere non dalla guida del M5S, che nella fantasia dell’elettorato italiano ha compiuto il suo ciclo biologico, ma in proprio. Lo potrebbe fare alla guida di un Movimento, meglio di un partito nuovo, partendo dalle condizioni drammatiche in cui versa il  Mezzogiorno, dove in alcune regioni viene negato il diritto a essere curati, definito “fondamentale” – un aggettivo usato una sola volta nell’intera Costituzione – appunto nell’articolo 32 della Carta. Conte potrebbe, in questi due anni che abbiamo davanti, prima di ogni altra cosa farsi eleggere in Parlamento, magari già alle prossime suppletive nel collegio di Siena, lasciato libero da Padoan. In Italia è complicato guidare un partito da remoto. Bisogna guidarlo sul campo, dove si colgono gli umori di cui si cibano giornalmente i gruppi. Specie se privi di cultura politica. Successivamente potrebbe, sotto l’usbergo della Costituzione, girare palmo a palmo un’Italia abbandonata dalla politica. Esattamente come fa da anni con successo, ma con un solo, pessimo argomento, gli immigrati, il capo della Lega. L’Avvocato al contrario potrebbe proferire parole di verità sia al Sud, sia al Nord, dove si avvertono strane suggestioni (non solo sull’inquietante ritorno dell’Autonomia differenziata) che saldano il sentire, per esempio, di Salvini con quello di Bonaccini non in nome dell’unità ma degli interessi. E’ questo il nuovo virus che l’Italia dovrà nei prossimi anni fronteggiare. Conte potrebbe rappresentare il vaccino giusto

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