Ci permettiamo di andare controcorrente rispetto al grande plauso riscosso da Draghi per la conferenza stampa dell’8 aprile: egli non se l’è cavata bene. Abbiamo avuto anche questa volta l’impressione che egli non si trovi ancora molto a suo agio nelle vesti di politico specialmente quando, in occasione di conferenze stampa (fortunatamente rare, anche se ci sta prendendo gusto e non si nega più ai microfoni) e di discorsi pubblici (in Parlamento o altrove), si sforza di ravvivare il testo scritto, un po’ piatto, con improvvisazioni più o meno azzeccate: vuole dimostrare di essere politically correct, di seguire la mainstream del momento e cerca espressioni a effetto con la battuta sugli anglicismi di cui in Italia si abusa specialmente nei giornali e nel linguaggio dei burocrati, oppure attaccando direttamente l’alleato Erdogan senza misurare bene le conseguenze delle parole scelte.
Questa volta ha più volte mancato il bersaglio. Anzitutto, riguardo all’affare AstraZeneca – un ‘pasticciaccio brutto’ che potrebbe avere conseguenze assai gravi per la vaccinazione di massa – Draghi non ha ben chiarito come e perché ci si dovesse ancora fidare di quel vaccino del quale l’EMA e l’AIFA hanno detto tutto e il contrario di tutto: ha detto soltanto che lui e sua moglie erano stati vaccinati con quel vaccino e abbiamo dovuto attendere la conferenza stampa del 16 aprile per sentire parole rassicuranti dal ministro Speranza mentre intanto esplode il caso del vaccino J&J; poi ha detto di avere piena fiducia nel ministro Speranza e di averlo voluto lui stesso intendendo così smentire che gli fosse stato imposto dall’alto: excusatio non petita!
Quindi Draghi ha attaccato gli ‘psicologi trentenni’ che saltano la fila e, si fanno vaccinare come operatori sanitari sottraendo dosi alle persone più fragili e rallentando il conseguimento degli obiettivi della campagna vaccinale; lo ha fatto appellandosi alla coscienza individuale dei molti che si sono fatti vaccinare o si apprestano a farsi vaccinare diciamo ‘fuori sacco’: tale fenomeno – che vede protagonisti psicologi, avvocati, magistrati, panchinari vari, etc. – è noto da tempo ma solo ora il governo promette di emanare al più presto ‘disposizioni cogenti’ in merito e che tutti gli ultraottantenni saranno vaccinati entro aprile. In effetti, subito dopo, il 10 aprile, il commissario Figliuolo ha emanato l’ordinanza in tal senso ma i buoi erano già scappati, il che dimostra che anche, anzi soprattutto, il centralismo ha le sue inefficienze e deficienze.
Quindi Draghi ha comunicato che la riapertura delle attività produttive, chiuse per la pandemia, potrà avvenire solo in base ai dati che da un anno ci affliggono – cosa ovvia ma solo se, intanto, si fossero prese quelle misure necessarie a evitare i contagi, per esempio per i mezzi di trasporto pubblici che ancora sono quelli che avevamo prima della pandemia; non basta aver stanziato 390 milioni per acquistarne di nuovi perché ci vuole tempo per averli: lo stato d’emergenza imporrebbe di ricorrere anche ai camion dell’esercito – ma, dopo appena una settimana, ha annunciato le riaperture in base a un ‘rischio ragionato’: un po’ contraddittorio!
Il fatto è che, purtroppo, il governo Draghi non è ancora uscito dal pelago alla riva, non è riuscito a risolvere, né poteva farlo, i molti e gravi problemi lasciati aperti dal governo precedente: il piano vaccinale procede ancora a rilento soprattutto per insufficiente rifornimento di dosi dei vari vaccini disponibili: forse, sarebbe stato più utile seguire una strategia di tipo austro-ungarico (ma anche la Germania acquista per conto proprio e tratta lo ‘sputnik’ senza attendere l’EMA) tendente a liberarsi dalle pastoie europee; la ‘logistica’ di Figliuolo sembra ancora in fieri: se l’esercito avesse aspettato due mesi per attestarsi sul Piave certo non avremmo avuto ‘Vittorio Veneto’; gli effetti economici della pandemia vengono ancora affrontati con sussidi inadeguati, non capaci di proteggere le aziende in pericolo e di promuoverne la ripresa; la elaborazione del ‘Recovery Plan’ non è ancora passata da un necessario dibattito in Parlamento; le imprese decotte come l’Alitalia – sia pure ridotte a ITA – continuano a succhiare miliardi alla faccia del ‘debito buono’.
Però, la notizia più ghiotta della conferenza stampa si è avuta quando Draghi ha definito Erdogan ‘dittatore’: se si è trattato solo di una ‘voce dal sen fuggita’ o se il motivo è solo quello della sedia della von der Lyen e, infine, se dietro una tale uscita, il governo non ha una qualche strategia a noi ignota, l’ha fatta veramente grossa. I turchi si sono offesi, hanno ingiunto al nostro ambasciatore ad Ankara di dire al başbakani di ritirare immediatamente quelle parole e hanno aggiunto: «Condanniamo con forza le affermazioni senza controllo del primo ministro italiano nominato, Mario Draghi, sul nostro presidente eletto e le rispediamo al mittente».
Forse Draghi potrebbe dire di non aver voluto offendere Erdogan, tuttavia i turchi, attaccati da un alleato per una quisquilia da cerimoniale, cioè l’aver offerto solo il divano e non la poltrona alla signora von der Lyen, hanno avuto una ragione piuttosto fondata per reagire: se violazione del cerimoniale c’è stata, il presidente Draghi doveva piuttosto sollevare la questione davanti al Consiglio dei ministri europei e chiederne una presa di posizione ufficiale; egli ha preferito invece una esternazione estemporanea e personale.
Allo sgarbo di Erdogan è stato dato risalto, più che dai diretti interessati, dai media che lo hanno presentato come mancanza di riguardo per una Signora e tutti sono insorti in nome della parità di genere; in effetti si è trattato di ben altro: Erdogan forse voleva sottolineare il ruolo marginale della Commissione europea, rappresentata dalla von der Lyen – che l’ha più volte attaccato – e parlare con il rappresentante dei governi dell’UE. Se così fosse, egli doveva però invitare solo Michel e non anche il Presidente della Commissione ma si deve aggiungere che, se così fosse, l’UE, a sua volta, dovrebbe darsi una politica univoca nei confronti della Turchia e non lasciarla alle improvvisazioni. L’epiteto usato dal nostro Presidente sarebbe stato più adatto in altre occasioni come quando, in Turchia, sono stati imprigionati membri dell’opposizione ma né lui né i suoi predecessori né i suoi omologhi dell’UE avevano mai pensato di farlo: in effetti, si dà del dittatore solo a chi non è un alleato o non si vuole avere come alleato e, in nome della ragion di stato, si sta pure attenti a non darlo ai tiranni più incalliti anche se non alleati.
E infatti, Draghi, che conosce bene la ‘ragion di stato’, ha tenuto a precisare che, in nome di questa, si può ‘cooperare’ ma non ‘collaborare’ con i dittatori che non rispettano i diritti umani. Francamente noi non vediamo grande differenza tra le due modalità di rapporti: ci sembra che, alla fine, se di dittatori si tratta, entrambe le modalità possano configurare una sorta di ‘concorso esterno’ del tipo definito dalla nostra giurisprudenza in altri contesti.
Questa possiamo pure passargliela; ciò che non gli passiamo però è il fatto che, essendo egli andato qualche giorno prima in Libia per sistemare le nostre relazioni con quel Paese, si sia detto poi d’accordo con un giornalista che gli chiedeva perché, invece di condannare la Libia per la violazione dei diritti umani, egli avesse ringraziato la guardia costiera libica per i ‘salvataggi’ in mare dal momento che, ahinoi, essa riporta i migranti nei centri di detenzione libici invece di mandarceli in Italia: non è necessario ricordare a Draghi che, se si vuole avere buoni rapporti con la Libia e con il suo protettore turco, non si può accusare l’una di non tutelare i diritti umani e l’altro di essere un ‘dittatore’.
Da questo punto di vista sono molto generosi coloro che vedono in questi atti di Draghi – viaggio a Tripoli, ‘botta’ a Erdogan, arresto della spia russa – un disegno compiuto di politica estera: riaffermazione di una forte influenza italiana in Libia e avvertimento a turchi e russi che ora sono i veri ‘influenti’.
Diciamo la verità, forse per inesperienza o per imitare Biden che ha dato dell’assassino a Putin o, forse, spinto dal ‘femminismo’ di Letta, Draghi ha provocato una crisi diplomatica a freddo e la Turchia, annullando subito i contratti di acquisto di elicotteri italiani, non ha fatto tardare la ritorsione. Se qualcuno pensa che sia questa la via per tutelare gl’interessi italiani o rilanciare l’Europa forse pensa a una Europa che possa accontentarsi di qualche ‘sedia’.