Messina e i suoi modi di dire, “Essiri cchiù ‘ssai d’i cani ‘i Brasi”: la storia di un vicerè e un rumoroso equivoco

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Messina, un vicerè e una lettera male interpretata: la storia che c’è dietro la simpatica espressione “Essiri cchiù ‘ssai d’i cani ‘i Brasi”

Mentre la lingua italiana si evolve insieme alla società, destrutturandosi nel linguaggio dei giovani, aggiungendo nuovi termini derivanti da un nuovo gergo, nuove tecnologie o semplicemente contamiandosi con altre lingue e culture, il dialetto mantiene ben cristallizzate nel tempo storie e tradizioni. Nel dialetto messinese ad esempio esistono espressioni uniche, incomprensibili all’orecchio di chi non è della città e magari anche a qualche giovane che le ascolta per la prima volta. Ad esempio: se vi dicessimo che “siti cchiù ‘ssai d’i cani ‘i Brasi”, voi cosa rispondereste?

La storia dietro il modo di dire: “Essiri cchiù ‘ssai d’i cani ‘i Brasi”

L’espressione è traducibile in italiano con “essere più numerosi dei cani di Brasi (Biagio)” e viene usata per indicare un gran numero di persone che generano un forte rumore. Ma chi era questo Brasi e soprattutto, perché aveva così tanti cani, per altro molto rumorosi? L’interpretazione più interessante riguarda un vicerè spagnolo di nome Blas (Biagio, dialettizzato Brasi) di stanza in quel di Messina. L’uomo era un grande appassionato di caccia, ma per dilettarsi seguendo la sua passione anche in Sicilia aveva bisogno di qualche cane da caccia. Per questo motivo decise di scrivere una lettera al fratello in Spagna nella quale chiedeva di inviargli “2 o 3 cani da caccia”. La sua calligrafia però potrebbe non essere stata facilmente comprensibile, oppure è stata semplicemente colpa del fratello che leggendola superficialmente ha scambiato la ‘o’ per uno zero: da 2 o 3, i cani diventarono 203! Un giorno al porto di Messina si presentò una nave il quale ‘rumore’ si sentiva da molto lontano e somigliava al verso di centinaia di animali: erano i latrati dei 203 cani arrivati dalla Spagna per il vicerè Blas!

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