Il Professore Ercole Pietro Pellicanò aggiunge nuove considerazioni relative al Ponte sullo Stretto e riprende un articolo dell’autorevole giornalista Francesco Merlo
Questa Testata il 12 maggio us, ha dato evidenza ad alcune mie considerazioni, relative al Ponte sullo Stretto. Ritorno sul tema che mi appassiona, arricchendo i contenuti con l’autorevole contributo di un grande giornalista, come Francesco Merlo. Mio intendimento è di contribuire, con queste riflessioni a sgombrare il terreno da “pietre d’inciampo” che continuano ad intralciare, anche se con venature diverse verso una auspicabile, anche se di difficile, realizzazione.
Sappiamo che l’opera non è una priorità nell’ambito dei progetti inseriti nel Next Generation EU. Sembra, invece, che è in corso di superamento, per lo meno così appare nel contesto della dialettica politica, la barriera ideologica che, agli inizi di questo secolo aveva frenato, per poi cancellare i sogni di tanti o forse di pochi, considerando l’atteggiamento tiepido delle comunità calabresi e siciliane.
Oggi, con onestà intellettuale, unita ad un sano pragmatismo, si possono trovare convincenti orientamenti, in grado di dare una spinta alla costruzione del Ponte.
A testimonianza di quanto affermo porto lo stralcio di alcuni passaggi tratti da un articolo di Francesco Merlo, apparso sul quotidiano ‘La Repubblica’ il 1 ottobre 2003, dal titolo “Se la sinistra scopre che il ponte è di sinistra”. La Testata non era mai stata a favore del progetto Ponte ed anche Merlo non aveva lesinato, a mia memoria, critiche. “Alla fine della giostra” egli, però, arriva a lanciare messaggi costruttivi, che appaiono, oggi, particolarmente interessanti.
“Fosse pure vero che non c’è convenienza economica – scrive Merlo- , il Ponte sullo Stretto di Messina andrebbe comunque costruito, senza arroganza verso le ragioni dei ragionieri ma con un filo d’ironia, visto che nessuno ha fatto i conteggi alla Torre Eiffel o alla Statua della Libertà ma tutti capiscono che senza Torre e senza Statua a Parigi e a New York ci sentiremmo persi. Solo grazie ai simboli infatti uno spazio dove ci smarriamo diventa un luogo nel quale ci ritroviamo. Non è insomma per ragioneria che si fanno i ponti, ma per ridurre le distanze”.
“Il Ponte sconvolge l’arretratezza del sistema viario perché accelera e parifica. E anche con i bilanci in rosso, il Ponte sarebbe comunque ricchezza, risorse, opportunità straordinarie, nuovi posti di lavoro. Alla fine insomma questo Ponte sullo Stretto è l’opera più bella e più avanzata che l’Italia possa realizzare, è un risarcimento al nostro Sud, ed è – deve essere – un’operazione laico simbolica keynesiana, la fine di un handicap, la fusione di Messina e Reggio nella Città dello Stretto, come una nuova Costantinopoli. Perciò il Ponte è di sinistra, anzi è quanto più di sinistra si possa fare (non dire, ma fare) oggi in Italia”.
“E la mafia? A Palermo non ci sono ponti, la mafia non è nata né sopra né sotto i ponti. Certo, la mafia c’è e qualsiasi grande investimento corre il rischio della mafia. Ma forse, contro la mafia, non bisogna più investire nel Sud? E non sarebbe, il rinunciare al progresso e allo sviluppo per paura della mafia, la maniera più vile di arrendersi alla mafia? Per alcuni la mafia cresce nella povertà e nel sottosviluppo, per altri nella ricchezza e nello sviluppo, c’è chi la lega al grano e alla terra arida, chi all’arancia e all’acqua. A Gela la mafia è arrivata con l’industria ma a Villalba, Mistretta, Montelepre, Corleone non c’è mai stata industria”.
“La verità è che la mafia si combatte con polizia e magistratura, con la pazienza, l’eroismo e il rischio d’impresa che è fatto di innovazione e dunque anche di ponti. I testi di Morale ci insegnano del resto che l’angoscia d’esser nati può diventare forza criminale quando va verso la disoccupazione, o forza propositiva, quando va verso il lavoro”.
“Infine, e di nuovo, Berlusconi. Si può volere il Ponte che vuole Berlusconi e cominciare a farlo insieme a lui. È questo il solo modo per sottrarlo alla sua ormai proverbiale e furba dabbenaggine, il modo per introdurre garanzie, rapporti con il sindacato, e alla fine fare del progetto Ponte un Parlamento con maggioranza e minoranza, prendere il controllo di una grandiosa operazione che non è solo economica e deve essere gestita da tutta la cultura politica italiana, perché riguarda tutta l’Italia, la simboleggia tutta, Ponte tra le due Italie, tra le due culture, tra le due esigenze”.
“Il Ponte che, come la rivista di Piero Calamandrei, unifica senza confondere, e addirittura rinsalda le identità perché le fa diventare identità aperte contro le identità chiuse che ti fanno orgoglioso e spocchioso, ma non ti portano da nessuna parte”.
“Ecco: il Ponte, per la sinistra, è anche un ponte contro la spocchia, contro la sicumera, contro il complesso di inferiorità coperto di muscoli, il Ponte al posto dei baffi di ferro e dei girotondi, il Ponte per non smarrirsi nello spazio astratto dell’ideologia, nell’Italia-manicomio che, pur di fare un’altra pernacchia a Berlusconi, vorrebbe volare da Scilla a Cariddi con la liana e l’urlo di Tarzan”.
Questo è il contributo, trasparente e realistico di Francesco Merlo, contributo che va tenuto da conto, soprattutto da parte degli intemerati benaltristi, e degli intellettuali ‘contro’, a prescindere.
E’ facile trovare il testo integrale dell’articolo di Merlo dal titolo “Se la sinistra scopre che il Ponte è di sinistra” su internet.