Siamo ormai a poco più di sei mesi dalla fine di “quota 100” e il prossimo futuro per quanto riguarda una nuova legge previdenziale invece di semplificarsi rischia di complicarsi sempre più
Siamo ormai a poco più di sei mesi dalla fine di “quota 100” e il prossimo futuro per quanto riguarda una nuova legge previdenziale invece di semplificarsi rischia di complicarsi sempre più.
L’unica certezza a questo punto è la fine di “quota 100”. La legge fortissimamente voluta da Matteo Salvini che doveva operare quel ricambio generazionale che purtroppo non c’è stato e che permetteva a chi aveva almeno 38 anni di contributi sommati ai 62 anni di età di poter andare in pensione. La legge era stata approvata a titolo sperimentale per il triennio 2019-2020-2021 e ormai è certo che non sarà rinnovata.
Motivo per il quale ritorna in quanto mai abolita la tanto odiata legge Fornero. Questa legge però prevede che siano necessari almeno 67 anni per poter andare in pensione e quindi se non si interviene i lavoratori il 31/12/2021 potranno andare in pensione a 62 anni, il giorno dopo a 67 anni, ben cinque anni dopo.
Il Ministro Orlando titolare del Ministero competente a trattare questi temi sono diversi mesi che sta prendendo tempo. Dapprima affermando che doveva preoccuparsi delle politiche attive del lavoro causate dalla pandemia, poi che avrebbe convocato i sindacati per l’inizio della contrattazione di questo delicatissimo problema, dopo però che le due Commissioni la prima sulla necessità della separazione della previdenza dall’assistenza in modo di determinare esattamente il costo della previdenza e la seconda per determinare l’elenco dei lavori gravosi, avevano concluso i lavori.
Il problema è che queste due Commissioni, interrotte durante la crisi di governo hanno ripreso a funzionare alla fine di aprile e si ritiene che non termineranno i loro lavori non prima della fine di luglio.
Nel frattempo, i sindacati, dopo molti tentennamenti hanno presentato una proposta unitaria che prevede l’introduzione di una flessibilità in uscita a partire dai 62 anni di età o con 41 anni di contributi a prescindere dall’età; il riconoscimento della diversa gravosità dei lavori, del lavoro di cura e delle donne; l’offerta di una prospettiva previdenziale anche ai più giovani attraverso l’introduzione di una pensione di garanzia; la tutela del potere d’acquisto dei pensionati e il rilancio della previdenza complementare. Aspettano di essere convocati ma non stanno facendo alcuna manifestazione.
Il Governo ha intanto esteso il contratto di espansione anche alle aziende da 100 a 250 dipendenti e la Corte dei Conti ha proposto un pensionamento a partire dai 64 anni di età applicando però il metodo contributivo.
Probabilmente l’unica ventata di novità è data dai gruppi facebook che hanno organizzato per il giorno 24 giugno dalle ore 9.30 alle ore 13.30 un sit.it a Piazza Montecitorio per sensibilizzare il governo sulla necessità di poter andare in pensione con 41 anni di contributi o in alternativa a partire dai 62 anni di età.
Proprio in questi giorni, poi, si è fatta risentire la Commissione Europea che ha riaffermato che, volgendo a termine la pandemia, sarà ristabilito a partire dall’anno 2022 il patto di stabilità e ha già intimato all’Italia di contenere la spesa previdenziale che, secondo l’Europa è già al 17% del PIL.
Probabilmente l’idea del Governo è quella di arrivare alla presentazione della legge di bilancio a ottobre ed effettuare solamente piccoli aggiustamenti, come vuole l’Europa, e non fare quella legge strutturale, equa e duratura che invece richiedono a gran voce i cittadini.
Ai sindacati, con l’aiuto dei cittadini dei gruppi facebook, l’impegno mediante manifestazioni in tutte le piazze d’Italia di fargli cambiare idea.