“Era come se mi vergognassi di essere nero”, Seid Visin e il suicidio a 20 anni: “Sentivo il peso degli sguardi scettici delle persone”

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Seid Visin si è suicidato, a soli 20 anni, perché non sopportava i pregiudizi della gente sul suo colore della pelle: la lettera da brividi di qualche tempo fa

Si è suicidato. A soli 20 anni. Perché era come se “mi vergognassi di essere nero”. Ancora il razzismo, e nel 2021 non se ne dovrebbe neanche parlare. Seid Visin si è tolto la vita qualche giorno fa. Era nato in Etiopia ed era stato adottato da piccolo da una famiglia italiana di Nocera Inferiore. Sognava di fare il calciatore ma, dopo l’esperienza nelle giovanili del Milan (con Donnarumma) e con il Benevento, aveva cambiato strada. Ha iniziato così a studiare. Ma, col passare del tempo, sempre più “pesante” sentiva l’ombra del “diverso”. Non perché lo fosse, ma perché così lo facevano sentire.

Non molto tempo fa aveva scritto una lettera in merito, mandata ai suoi amici e inviata alla sua psicoterapeuta. “Ovunque io vada, ovunque io sia, sento sulle mie spalle come un macigno il peso degli sguardi scettici, prevenuti, schifati e impauriti delle persone, uno dei passaggi più tristi dello scritto. “Sono stato adottato da piccolo. Ricordo che tutti mi amavano. Ovunque fossi, ovunque andassi, tutti si rivolgevano a me con gioia, rispetto e curiosità. Adesso sembra che si sia capovolto tutto. Ero riuscito a trovare un lavoro che ho dovuto lasciare perché troppe persone, specie anziane, si rifiutavano di farsi servire da me e, come se non mi sentissi già a disagio, mi additavano anche come responsabile perché molti giovani italiani (bianchi) non trovassero lavoro. Dentro di me è cambiato qualcosa. Come se mi vergognassi di essere nero, come se avessi paura di essere scambiato per un immigrato, come se dovessi dimostrare alle persone, che non mi conoscevano, che ero come loro, che ero italiano, bianco”.

Ma non è questo, purtroppo, l’unico passaggio significativo di una lettera che racconta nel profondo tutti i disagi di chi vive questa situazione: “Facevo battute di pessimo gusto su neri e immigrati – si legge ancora nella lettera – come a sottolineare che non ero uno di loro. Ma era paura. La paura per l’odio che vedevo negli occhi della gente verso gli immigrati. Non voglio elemosinare commiserazione o pena, ma solo ricordare a me stesso che il disagio e la sofferenza che sto vivendo io sono una goccia d’acqua in confronto all’oceano di sofferenza che sta vivendo chi preferisce morire anziché condurre un’esistenza nella miseria e nell’inferno. Quelle persone che rischiano la vita, e tanti l’hanno già persa, solo per annusare, per assaggiare il sapore di quella che noi chiamiamo semplicemente ‘“Vita'”.

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